Il perdono a un killer, la cura del creato: chi è il patrono dei forestali
di Redazione
L'abbazia in diocesi di Fiesole ha festeggiato la memoria del fondatore, san Giovanni Gualberto. L'abate Casetta: come lui siamo chiamati a essere semi di giustizia e di speranza nella storia

Fu proprio il perdono dell’omicida del fratello la svolta nella vita di san Giovanni Gualberto, fondatore dei Monaci benedettini vallombrosani e patrono dei forestali d’Italia. Un perdono vivo, genuino e sincero che oggi, però, pare contornato «da idee sbagliate e confuse», come ha precisato l’abate Giuseppe Casetta, nel corso dell’omelia che sabato, presso l’abbazia di Vallombrosa in diocesi di Fiesole, ha celebrato la memoria di questo grande. Un momento di riflessione preghiera cui ha partecipato anche una rappresentanza della Regione Abruzzo, che quest’anno ha donato l’olio per la lampada votiva.
«Perdonare non è la stessa cosa di dimenticare – ha sottolineato –. Quando si dimentica non è nemmeno più possibile perdonare, perché non resta semplicemente più niente da perdonare». Perdonare, ha proseguito il religioso, «non è negare la colpa o rifiutare di riconoscerla. Perché perdonare non è mai mettersi al di fuori della verità. Pensiamo a Giovanni Gualberto: ha perdonato l’omicida del fratello ma non ha fatto finta di nulla quando ha scoperto che l’abate di San Miniato del tempo aveva comprato con denaro la sua carica». Il fondatore di Vallombrosa, infatti, è ricordato anche per la sua lotta alla simonia nella Chiesa, cioè alla piaga delle nomine comprate o scambiate. «L’ingiustizia deve essere corretta in tutta la misura del possibile, perché l’amore, lungi dal neutralizzare la giustizia, la porta alla sua perfezione», ha affermato ancora Casetta.
Inoltre, ha aggiunto l’abate, il perdono «non è neanche un puro atto di volontà, una prodezza della disciplina di sé. Come se ad un dato momento noi chiamassimo a raccolta tutte le energie della nostra volontà e poi dicessimo: “Io ti perdono” e il gioco è fatto. Perdonare – ha notato ancora Casetta – è un lungo processo che necessita di tempo. Il perdono diventa così una dimensione costante della vita cristiana nel suo divenire, come del resto non può che essere costante la fiducia nell’intervento di Dio al di là delle nostre preoccupazioni, delle nostre ansie».
Prendendo spunto dal patronato di san Giovanni Gualberto per i forestali, il pensiero, poi, è andato all’urgenza della cura del Creato, così come più volte invocata da papa Leone XIV in queste settimane. «In questo Giubileo 2025, che ci vede pellegrini di speranza – ha detto il religioso –, il Pontefice ha lanciato, in vista della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, un grido profetico che sintetizzerei così: la terra grida e le coscienze dormono!». Per i cristiani si tratta di un tema ineludibile, perché, come notato anche dall’abate, lo scempio al quale assistiamo ogni giorno è il frutto di profonde ingiustizie che ricadono sull’ambiente, sui popoli, sulla collettività. «Il tempo che viviamo – ha concluso Casetta – chiede proprio questo: coltivare speranza mentre tutto intorno sembra desertificarsi e desertificarci».
L’abate ha concluso la sua meditazione con un’immagine che riunisce i diversi temi toccati (il perdono, la giustizia, la cura del creato e la speranza): l’invito a essere semi nella storia: «Per i credenti non è una metafora poetica, ma una vocazione concreta. Vuol dire accettare di gettarsi nel solco della storia, sapendo che i frutti verranno. E saranno frutti di pace. Giovanni Gualberto si è gettato dentro il solco della storia. Ora tocca a ciascuno di noi».
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