Cosa ha detto il prete-social don Cosimo Schena in Parlamento

Il prete più popolare dei social ascoltato in Commissìone periferie: «L'isolamento geografico spegne i nostri giovani»
November 13, 2025
Cosa ha detto il prete-social don Cosimo Schena in Parlamento
«Le periferie non sono solo luoghi, ma sono ferite dell'anima. Nel mio piccolo provo a dare voce a chi vive negli angoli più bui del Paese, a chi spesso non ha parola oppure non ha più la forza di usarla». Don Cosimo Schena, parroco di San Francesco d’Assisi a Brindisi, è un personaggio amato dal popolo social: conta più di 500 mila follower: tra gli uomini di Chiesa, solo Papa Leone è più seguito di lui. Ma la fama gli importa poco, per lui conta lanciare messaggi ai naviganti del mare di Internet. Mercoledì è stato ascoltato dalla commissione parlamentare di inchiesta sulle periferie: un’occasione per condividere il suo sguardo sui margini del Paese. «Mi hanno chiamato sui giornali il “prete influencer di periferia”, non è un titolo che rincorro – ha detto - Grazie ai social sono in contatto diretto con oltre un milione di persone, giovani nel 95% dei casi. Io non li chiamo follower, ma anime. Cuori che cercano una sola cosa: qualcuno che dica loro “tu conti”».
Proprio attraverso i social dialoga con i ragazzi: su Instagram offre anche un servizio di consulenza psicologica. Un po’ teologo e un po’ psicologo: un profilo che conquista la Gen Z, soprattutto quella larga fetta che vive e sogna lontano dal centro. «Quando diciamo periferia pensiamo spesso alla grande città, quartieri segnati dal degrado, criminalità diffusa, baby gang, spaccio. Quella si è una periferia reale ma – ha sottolineato - sarebbe ingiusto fermarsi lì. Esiste un'altra periferia, che non fa notizia, perché non fa rumore». Il riferimento è alle aree interne, vera terra di nessuno, dimenticata dalla politica. «Si tratta della periferia dei paesi piccoli, dei borghi dell'entroterra, delle zone rurali dimenticate. Lì non trovi il pusher all'angolo della strada, ma trovi il vuoto. Lì - ha sottolineato - non senti gli spari, ma solo porte chiuse. Quella è la periferia che non si vede, quasi timida, ma che fa male lo stesso, forse di più, perché una sofferenza che nessuno nomina». Sono due, secondo don Schena, le emergenze da affrontare. «La ricerca oggi parla di due diverse ferite: marginalità urbana e isolamento rurale. La marginalità urbana esplode con rabbia, l'altra invece spegne. Spegne la vita di tanti giovani che vorrebbero emergere». Sullo sfondo, un malessere profondo. «La grande malattia di questo secolo è la solitudine, perché non siamo più in grado di ascoltarci. Siamo molto incentrati su noi stessi, sulle mille cose da fare, sulla smania del successo. Oggi la solitudine è diventata una nuova forma di povertà». I social sono una cartina di tornasole: tra un post e un reel emerge in maniera chiara la grande fragilità dei nostri tempi. «Io mi ritrovo tantissimi messaggi al giorno, dai 1000 ai 2000, tra mail e messaggi privati, dove i ragazzi ed i meno giovani richiamano al fatto di non essere visti o ascoltati, non essere amati o accolti per quello che sono. Il digitale dovrebbe essere un ponte, invece, nei piccoli centri, rischia di diventare muro». Di qui il suo appello alla commissione:«Vi chiedo di considerare il digitale non solo come un'infrastruttura tecnica, ma come atto di giustizia sociale. Portare la banda larga in un piccolo borgo non è mettere la fibra, ma è permettere ad una ragazza di 16 anni, di non sentirsi condannata a tacere tutta la vita. Questa è prevenzione psicologica. E' prevenire il futuro dei nostri giovani». Il pericolo vero è abbandonarli a loro stessi, senza coglierne il potenziale. «Questi giovani non sono cattivi o persi. Questi giovani sono soli. E la solitudine prolungata dei ragazzi diventa convinzione di non valere. E quando un giovane smette di credere di avere un valore, il rischio di autolesione fisica o emotiva cresce in modo esponenziale. Questo - ha concluso don Cosimo - non è un allarme retorico del momento: è ciò che vediamo noi parroci, noi psicologi, noi educatori sul campo ogni giorno».

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