mercoledì 13 settembre 2017
Parla l'ex candidata alla presidenza, che fu per oltre 6 anni ostaggio delle Farc
Ingrid Betancourt

Ingrid Betancourt

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«Lo Spirito Santo ha accompagnato papa Francesco in Colombia. Gli ha fatto trovare la chiave della serratura che, troppo a lungo, aveva chiuso il cuore della nazione. Tanti avevano provato ad aprirla, invano. Francesco l’ha fatto». Ingrid Betancourt ha vissuto il viaggio bergogliano a Roma, dove è stata anche ospite di Tv2000. La distanza geografica non le ha impedito di passare «di emozione in emozione. Non riesco ancora a riprendermi », afferma l’ex senatrice franco-colombiana ed ex candidata alle presidenziali del 2002. Quell’anno aveva deciso di presentarsi con il partito ' Verde-Oxígeno', da lei fondato. Non potè, però, farlo: il 23 febbraio, pochi mesi prima del voto, fu sequestrata dalle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc). Rimase nelle loro mani sei anni e quattro mesi, come 'ostaggio numero uno'. Fino alla liberazione dell’esercito, con la spettacolare ' Operación jaque', il 2 luglio 2008. In quei 2.321 giorni nella giungla, spesso con la catena al collo, Ingrid prese una decisione fondamentale. Scelse che cosa non voleva essere: una persona assetata di vendetta, capace di odiare, di desiderare il male per i propri aguzzini. In una parola, scelse la riconciliazione. Un’opzione su cui la Colombia è chiamata a pronunciarsi ora. Il Pontefice le ha dato 'la scossa'. Il Paese può decidere di restare incatenato al rancore. O farsi liberare dal perdono. In questo senso, secondo Betancourt, Bergoglio ha fatto intravedere alla nazione altre possibilità di essere, oltre 'l’occhio per occhio'.

Come aiutare la Colombia a fare la 'scelta giusta', a incamminarsi sulla via della riconciliazione?

Pace e riconciliazione sono due tappe differenti, benché intimamente legate, di un medesimo processo. L’accordo tra il governo e le Farc ha risolto un fatto di capitale importanza. Ha dato alla guerriglia un canale legale di ac- cesso alla politica. Ora si deve procedere con il passo successivo: garantire il compimento della giustizia riparativa. Quest’ultima è fondamentale perché vi sia riconciliazione, la quale implica sentimenti ed emozioni. I negoziatori, all’Avana, si sono impegnati a porre le vittime al centro della pace. Ora devono dare seguito tale promessa perché essa non diventi uno slogan. Chi ha sofferto le ferite del conflitto deve trovare una risposta. Deve ottenere verità e riparazione. Ciò richiede uno sforzo comune a livello istituzionale. Ci sono vittime che hanno necessità di una casa, altre di assistenza psicologica, altre ancora di riparazione morale e sole ciale. I loro patimenti devono essere accolti, investendo soldi e risorse.

E la guerriglia che cosa deve fare?

Da parte sua, ci vogliono reali assunzioni di responsabilità nei confronti di coloro ai quali hanno arrecato dolore. Mi ha toccato nel profondo la lettera aperta al Papa, scritta dal leader dela Farc, Rodrigo Londoño alias Timochenko, in cui chiedeva perdono per ogni lacrima causata ai colombiani. Questi atti sono necessari. Fanno bene. Ce ne vogliono tanti e devono tradursi in pratica quotidiana. Senza retorica.

La 'nuova Colombia', in via di costruzione, le fa venire voglia di ributtarsi nella politica?

Sono disposta a fare il possibile per aiutare il mio Paese. Là, però, c’è una generazione di giovani già in cammino. È bello vederli in azione. Quando il cuore è disponibile, in ogni caso, Dio indica la via. Qualunque cosa farò, tuttavia, voglio che sia per utilità alla nazione e non per ambizione personale.

Quali parole o gesti di Francesco l’hanno particolarmente commossa?

È difficile scegliere. Vorrei sottolineare, però, tre messaggi. In primo luogo, l’appello, formulato in più occasioni, con parole differenti, a smettere di trovare scuse per non impegnarci nella pace. A smettere di avere paura di chiedere e offrire perdono. A smettere di fare resistenza alla riconciliazione. Il Papa ci ha detto che è tempo ormai di spegnere gli odi e costruire una convivenza aperta alle differenze. Mi ha colpito, inoltre, l’invito, fatto a Medellín, a pregare per quanti hanno distrutto con il narcotraffico la vita di tanti giovani. Un’esortazione dalla forte carica spirituale per ogni cristiano. Questi non può limitarsi a puntare il dito contro chi fa il male. Deve costruire il bene anche per il 'carnefice'. E può riuscirci solo a partire dall’orazione. Mi hanno infinitamente emozionato, infine, le parole sulle donne pronunciate di fronte ai vescovi. Non si è limitato a dire la bella frase: 'la speranza in America Latina ha volto di donna'. L’ha arricchita con spiegazioni di enorme profondità teologica. E ha concluso invitando a non relegare le donne al ruolo di 'serve'. Si vedeva che quelle parole avevano il potere di entrare nell’animo del pubblico - tutto maschile -, che lo ascoltava con partecipazione. Un grande omaggio per ciascuna di noi.

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