venerdì 5 giugno 2015
Il cardinale Puljic alla vigilia della visita: a Sarajevo per sostenere il processo di pace e incoraggiare i cattolici.
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«Sono molto contento e felice della visita di Papa Francesco. Come lo è tutta la popolazione. Sono grato alle autorità civili e religiose, e anche ai benefattori che l’hanno resa possibile. Cattolici e non. Penso all’artigiano musulmano Salem Hajderovac che insieme al figlio Edin ha intagliato la bellissima sedia in legno che verrà usata dal Pontefice». Il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo, è particolarmente soddisfatto del clima che si è creato nella capitale bosniaca e in tutto il Paese per la visita del Pontefice. E si augura che sia di aiuto per superare i non pochi problemi lasciati sul campo dal terribile conflitto che ha insanguinato queste terre alla fine del secolo scorso. Avvenire lo ha sentito alla vigilia dell’arrivo del Papa. Eminenza, Come è nato questo viaggio? Papa Francesco segue e conosce la nostra situazione fin da quando era cardinale. Subito dopo la sua elezione, e altre volte successivamente, gli ho chiesto di venirci a trovare per aiutare la Chiesa cattolica di Bosnia Erzegovina a sopravvivere. Il Papa ha un cuore grande aperto a tutti i poveri e a tutti gli emarginati, e così ha accettato l’invito. Le autorità politiche e religiose hanno appoggiato la sua richiesta? Dopo aver registrato il consenso dei confratelli vescovi cattolici ho parlato con il Consiglio interreligioso e con il governo. Tutti hanno aderito all’invito fatto al Papa. Tutti, senza distinzioni di etnia o religione. Qual è il clima che si registra in città? Grazie a Dio nell’opinione pubblica c’è un clima molto positivo. In città e in tutta la Bosnia Erzegovina. Tra i massmedia e i politici e specialmente tra i capi religiosi. I semplici cittadini sono molto orgogliosi di questa visita. Sono contento perché tutti aspettano la venuta del Papa con spirito di buona volontà. Il Papa nel videomessaggio inviato alla vigilia del viaggio ha manifestato stima e amicizia a tutti, ripetendo con forza «a tutti»… Tutti capiscono che lui è il pastore universale della Chiesa cattolica e che ha a cuore il suo gregge. I cattolici però non vivono da soli, ma insieme a uomini di altre o di nessuna confessione religiosa. E il Papa vuole facilitare la creazione di un clima di convivenza, di tolleranza e, specialmente, di dialogo. Sempre nel messaggio il Papa spiega di venire per confermare nella fede i fedeli cattolici, che sono in maggioranza croati. Qual è la situazione attuale dei cattolici in Bosnia Erzegovina? Questo è un problema. Gli accordi di Dayton non sono stati buoni per i cattolici croati. Lo si può vedere bene dalle statistiche. Dopo quegli accordi il loro numerosi è quasi dimezzato. Nella sola diocesi di Banja Luka, che si trova sotto la giurisdizione della Republika Serpska, i cattolici erano 130mila e oggi sono solo 35mila. Nella mia diocesi, che si trova nella zona a maggioranza musulmana della Federazione di Bosnia Erzegovina, i cattolici erano 528mila oggi sono solo 185mila. Tanti profughi che sono fuggiti durante la guerra hanno provato a rientrare nelle loro zone di origine ma sono dovuti partire di nuovo per mancanza di lavoro e di uguali diritti rispetto alle altre componenti della popolazione. Lo ribadisco: gli accordi di Dayton, che sopravvivono soprattutto perché gli Stati Uniti non vogliono toccarli, non garantiscono l’uguaglianza ai cattolici croati in Bosnia Erzegovina. Ma Dayton ha garantito la pace in questi ultimi venti anni. Dayton ha fermato la guerra. Grazie a Dio! Ma non crea le condizioni per una pace giusta, perché, ad esempio, nella zona della Repubblica Serpska ha di fatto legalizzato la pulizia etnica. Il Papa viene per sostenere il dialogo con le altre componenti religiose del Paese. Qual è la situazione del dialogo con i bosniaci musulmani? Dipende dai contesti. Ora con le autorità religiose islamiche i rapporti sono molto buoni, il loro leader, il gran muftì Husein Kavazovic è molto aperto al dialogo. Ma ci sono politici che fanno molte cose che sono ingiuste soprattutto riguardo all’uguaglianza nei diritti tra i componenti delle diverse confessioni. C’è pericolo fondamentalismo islamico? Sì, esiste un gruppo di wahabiti che costituisce un grande problema. Ma il problema di questi estremisti comunque non riguarda solo la Bosnia Erzegovina ma tutta l’Europa. I cosiddetti foreign fighters provengono anche da Vienna o da Londra. Per quanto riguarda il dialogo ecumenico con i serbi qual è la situazione? Ci sono problemi. La Chiesa ortodossa serba non manca mai l’occasione per puntare il dito contro la Chiesa cattolica croata - come avviene ad esempio con le reiterate accuse verso il beato cardinale Alojzije Stepinac - ma non ha il coraggio di fare autocritica, come ad esempio per i terribili fatti di Sebrenica. Riguardo al dialogo però vorrei aggiungere che il dialogo tra le quattro confessioni religiose presenti in Bosnia - cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei - dobbiamo farlo sempre insieme e non separatamente. Per evitare così che possano nascere dubbi e sospetti di accordi fatti a due per danneggiare gli altri. Questo è molto importante. Ci sono problemi per la sicurezza della visita? Credo di no. Le autorità hanno fatto un buon lavoro. Tutto sembra essere sotto controllo. Dobbiamo attenderci qualche riferimento a Medjugorje? Non credo che nessuno ne farà cenno. Eminenza, lei ha ricevuto a Sarajevo anche Giovanni Paolo II. Quali in sintesi le analogie e le differenze con questa visita di papa Francesco? Giovanni Paolo II è venuto subito dopo la fine della guerra e la sua visita è stato come un balsamo per guarire le ferite inferte a tutta la popolazione del Paese e soprattutto per i cattolici. Papa Francesco viene per incoraggiare nella fede i cattolici, per sostenere il processo di pace, per favorire il dialogo e la fiducia tra la popolazione. E per rimettere la Bosnia-Erzegovina al centro dell’opinione pubblica internazionale, affinché i politici si sforzino di trovare una soluzione giusta e durevole per il bene di ogni cittadino di questo Paese.
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