Tutta Monfalcone chiede a Fincantieri di "cambiare modello"

di Francesco Dal Mas, Monfalcone (Gorizia)
Il nodo integrazione: il Consiglio comunale all'unanimità sollecita minore ricorso a subappalti e lavoratori stranieri. L'azienda replica che i contratti sono rispettati e l'accusa è politica
November 19, 2025
Tutta Monfalcone chiede a Fincantieri di "cambiare modello"
Una vista di Monfalcone e del suo cantiere navale
È ineluttabile il conflitto tra un grande gruppo, che per tanti aspetti è la locomotiva economica di buona parte di una regione – nella fattispecie il Fvg – e un Comune che deve garantire la qualità della vita dei suoi cittadini, promuovendo l’integrazione fra le sue componenti e un ambiente sostenibile, libero ad esempio dall’inquinamento acustico? In altre parole: riuscirà la Regione a disinnescare la mina Fincantieri–Monfalcone? Entro fine mese, al più tardi ai primi di dicembre, ci proverà il presidente Massimiliano Fedriga, ben consapevole che basta una nave in più realizzata in quei cantieri per dare «il la» al Pil del Friuli Venezia Giulia. «E noi ci saremo – si risponde da Fincantieri – perché se è vero che noi non possiamo fare a meno della città, è anche vero che la città non può fare a meno di noi».
Il Consiglio comunale di Monfalcone, di solito attraversato da forti contrapposizioni interne, ha ritrovato recentemente l’unità nel sollecitare al colosso della navalmeccanica l’adozione di un “nuovo modello produttivo”. Un modello non più basato sul subappalto esasperato, aperto alle assunzioni locali e non solo all’immigrazione islamica, lontano da ogni rischio di criminalità. Un’analisi pesante. Tanto che Pierroberto Folgiero, Ad del gruppo, ha risposto in termini risentiti. Ha invitato a non «usare l’azienda come cassa di risonanza politica» e a non proporre «soluzioni semplicistiche» in tema di subappalto. È vero: su 30mila abitanti, un residente su tre è straniero. Ben 5mila sono cittadini bengalesi. E su 7mila lavoratori, 5mila sono in subappalto, quasi tutti stranieri. «Ma noi rispettiamo i contratti e, in ogni caso, è vero che gli italiani non vogliono più svolgere le mansioni più fisicamente onerose», ha ancora detto Folgiero, ricordando che Fincantieri lascia ogni anno in Fvg qualcosa come 3 miliardi di Pil, ovvero il 6% del prodotto interno lordo regionale.
Due operai nel cantiere navale di Monfalcone
Imagoeconomica
Dopo che il presidente Fedriga è sceso in campo per cercare di mediare, il Comune di Monfalcone ha pubblicato in questi giorni un preavviso di rigetto alla richiesta di Fincantieri per deroghe agli impatti acustici a Panzano, bloccando di fatto le lavorazioni notturne propedeutiche all’allestimento di maxi gru nei cantieri. Decisione che rischia di esacerbare le tensioni. Anche perché potrebbero materializzarsi – come extrema ratio – richieste di risarcimento danni da parte di Fincantieri per ogni giorno di ritardo (350mila euro al dì) nella consegna delle future mega-navi, dalle stazze che salirebbero dalle attuali 175.000 a 226.000 tonnellate. Le lavorazioni di notte, della durata di tre mesi, sarebbero dovute scattare proprio in questi giorni.
In Fincantieri c’è quanto meno disappunto: si ricorda che negli ultimi cinque anni la società ha investito 50 milioni di euro, di cui 23 per il potenziamento delle infrastrutture, la ristrutturazione di scuole e di altri servizi, asili nido aziendali, mense, programmi di formazione anche in Tunisia e Ghana. E se il Consiglio comunale ha sollecitato maggiore impegno nella trasparenza e nella sicurezza, Fincantieri ricorda di aver sottoscritto protocolli di legalità con il ministero dell’Interno e la Guardia di Finanza, escludendo condizioni di favore per il caporalato nei subappalti.
«Se un tempo si consegnava una nave ogni due anni, oggi ne escono tre all’anno. Questo ha generato un fabbisogno importante. Vent’anni fa quella manodopera arrivava dal Sud del Paese, in tempi più recenti da Bangladesh e Pakistan. Importando in modo massivo persone con una cultura molto diversa dalla nostra si è creato un problema sociale e culturale, che c’è e va affrontato»
Michelangelo Agrusti, presidente Confindustria Alto Adriatico
Certo è che l’ex sindaco Anna Maria Cisint, oggi europarlamentare della Lega, dopo aver diffuso un video-denuncia proprio sul caporalato, è stata sentita in Questura per sommarie informazioni. «Saremmo i primi a denunciare situazioni che danneggerebbero anzitutto l’azienda», si replica da Fincantieri, nell’ipotesi che la subfornitura riveli sorprese di questo tipo. Il Sindacato Dirigenti Fincantieri è sceso in campo per denunciare a sua volta: «Non possiamo accettare dichiarazioni rese da membri della giunta comunale che associano indiscriminatamente il nome dell’azienda ai concetti di mafia e illegalità: mancano di rispetto anche al nostro lavoro».
Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico, è il protagonista del modello d’integrazione tra immigrati preparati in Ghana – attraverso i Salesiani – e inseriti a pieno titolo in Friuli e, nella fattispecie, anche a Monfalcone: «Se un tempo si consegnava una nave ogni due anni, oggi ne escono tre all’anno. Questo ha generato un fabbisogno importante. Vent’anni fa quella manodopera arrivava dal Sud del Paese, in tempi più recenti da Bangladesh e Pakistan. Importando in modo massivo persone con una cultura molto diversa dalla nostra si è creato un problema sociale e culturale, che c’è e va affrontato».
Un operaio al lavoro al cantiere navale
Imagoeconomica
«È vero, a Monfalcone c’è lavoro, ma non tutti vogliono fare certi lavori e non tutti sono disposti (spesso giustamente) a lavorare in certe condizioni di sicurezza o di salario – ammette don Flavio Zanetti, il parroco –. Esiste il tema della legalità, del rispetto sincero delle regole da parte di tutti: la tentazione del “fatta la legge, trovato l’inganno” è forte a tanti livelli. La legge non ammette ignoranza, ed è vero; ma vanno aiutate le persone a vincere questa ignoranza, che non è sempre colpevole». Il parroco ammette anche che l’afflusso di tante persone da tanti luoghi diversi ha certamente aumentato i problemi legati alla convivenza: «C’erano già, ma abitudini e culture molto diverse non danno più per scontato quasi nulla. Un elemento importante è il disorientamento dei vecchi monfalconesi: erano abituati a conoscere un po’ tutti e ora non conoscono nemmeno i vicini, spesso non riescono a comunicare con loro, si sentono un po’ ospiti a casa propria. Pesa soprattutto la paura: non si conosce l’altro, la diversità incute timore, diffidenza, difficoltà reali che spesso vengono cavalcate per scopi politici».
Che Fincantieri e altre società siano considerate un’eccellenza italiana è fuori discussione, riconosce anche il parroco. «C’è da chiedersi se in questo enorme giro di denaro e grazie alle notevoli capacità professionali che ci sono, non si potessero trovare strumenti per venire incontro ai bisogni della popolazione e dei lavoratori: alloggi, salari onesti e garanzie per chi lavora, attenzione ad assorbire la forza lavoro locale, corsi di italiano per stranieri, occasioni per aiutare gli uni e gli altri a vivere insieme. Molto si è fatto, ma si può decisamente fare meglio. Un dialogo franco e costruttivo tra parti sociali e forze politiche ed economiche è fondamentale». La Chiesa monfalconese continua a favorire la convivenza pacifica come può, ospitando nelle proprie strutture incontri, promuovendo occasioni di ascolto e cercando di favorire il dialogo, invitando alla ragionevolezza e al guardare al domani con fiducia.

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