Come un’onda anomala, la stagione dei nuovi integrativi aziendali sta mutando il panorama nazionale. Se il welfare pubblico sta infatti ritirandosi, ecco che per rimanere competitivi sui mercati globali le multinazionali dell’agroalimentare e il gigante dell’occhialeria Luxottica, apripista del welfare in busta paga nel 2009, hanno cambiato strada, puntando a migliorare la produttività e la qualità incentivando non con soldi, bensì con servizi, che hanno il vantaggio in certi casi di godere di agevolazioni fiscali. Insomma, con i sindacati ci si accorda per un corrispettivo in servizi a operai e impiegati una volta raggiunti determinati obiettivi e in cambio di una certa flessibilità.Accordi a conflitti zero, tutte le parti sociali ci stanno, anche se la prudenza è d’obbligo. I nuovi integrativi firmati da sei mesi a questa parte lo confermano. Big come Kraft, Colussi, Barilla e Nestlè hanno introdotto sette giorni retribuiti di congedi di paternità, telelavoro o part time "sociale" per chi ha figli affetti da gravi patologie e il contributo alle rette aziendali dei nidi. Da Agordo, nel bellunese, il modello resta l’integrativo di Luxottica, la multinazionale dell’occhiale, L’idea prende forma nel 2008. «La diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie – racconta Nicola Pelà, direttore delle risorse umane, manager di scuola Olivetti – non era più compensabile solo attraverso i tradizionali interventi sulle retribuzioni monetarie fisse o variabili, dovendo sostenere un cuneo fiscale pari al 46,5% del costo del lavoro. Nel febbraio del 2009 abbiamo proposto al sindacato di gestire congiuntamente un programma che remunerasse con beni e servizi una volta raggiunti obiettivi concordati di produzione». Oggi siamo al secondo contratto, siglato il 17 ottobre, che sarà applicato a 8.000 persone e che, in cambio di una più spiccata gestione individuale della presenza attraverso straordinari e flessibilità legata alla stagionalità e ai cicli produttivi, fa scattare bonus di welfare pro famiglia. Ad esempio una "banca ore" con la quale i lavoratori che prevedano una maternità entro 3 anni potranno conferire straordinari o giorni di ferie da usare dopo la nascita del bambino. O permessi per i neopapà sino a 5 giorni lavorativi interamente retribuiti e soprattutto il "job sharing familiare". In sostanza il dipendente può condividere il lavoro con il coniuge disoccupato o in cassa integrazione e con il figlio prossimo alla conclusione degli studi o che ha terminato gli studi. Il figlio o il coniuge inoccupato può sostituirlo se il dipendente è malato. Ultima novità, un parametro "sostenibile" che prevede un premio legato alla riduzione dei costi della "bolletta energetica", dei rifiuti e dei materiali di consumo degli uffici. Pelà spiega così l’attenzione dell’azienda al welfare per la famiglia: «In questo momento di crisi è l’istituzione che regge il tessuto sociale ed è quella che ci differenzia dall’Europa». Altro laboratorio di innovazione è Milano. La Sea, ad esempio, oltre 5mila dipendenti, azienda controllata dal comune che gestisce Linate e Malpensa, ha già una lunga tradizione di assistenza e prevenzione sanitaria per i dipendenti, iniziative per i figli, servizi sociali, dedicate alla conciliazione tra vita lavorativa e familiare come orario flessibile e permessi compreso il "part-time mamma". Anche nel rinnovo dell’integrativo dello scorso 6 ottobre oltre ai parametri monetari ci sono servizi alla persona. Interessante l’innovazione illustrata dal Chief corporate officer Luciano Carbone, delegato alla responsabilità sociale dell’azienda. «Sea – spiega Carbone – ha utilizzato una società di sondaggi per chiedere ai dipendenti quali bisogni esprimessero. È emerso il tradizionale interesse per le spese sanitarie e per la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia. Ma non più solo da parte delle madri per i figli, emerge il bisogno di chi deve curare anche i genitori anziani». Infine c’è una quota di dipendenti che chiede all’azienda aiuto per affrontare problemi personali come la dipendenza dal gioco. Altra novità è il movimento di piccole e medie imprese. La regione Lombardia ha chiuso al 15 ottobre un bando che finanzia a fondo perduto progetti di welfare per le aziende con meno di 250 dipendenti. E l’Unione degli industriali di Como ha siglato lo scorso aprile con le parti sociali un patto territoriale dello sviluppo che prevede il lancio di progetti di welfare negli integrativi aziendali coinvolgendo migliaia di famiglie. «Le idee sono molte – sostiene il presidente dell’unione, Mario Giudici – ad esempio calibrare i nidi aziendali che sono costosi. Per sostenersi, alcuni stipulano accordi con altre aziende, altri si sono convenzionati con i comuni. Un punto fermo sarà rilevare sempre i bisogni autentici dei lavoratori, per evitare iniziative inutili. Le aziende insieme possono poi agevolare a costo zero i risparmi sui consumi dei dipendenti ad esempio attraverso carte spesa con le catene di supermercati». Un’esperienza analoga è stata presentata a inizio novembre da Confindustria della provincia di Treviso.Restano tuttavia problemi da affrontare, ad esempio va accorciato il divario tra piccole e grandi imprese per non creare un "
welfare divide" con evidenti discriminazioni sui territori. «A mano a mano che lo stato sociale si ritira – conclude al riguardo Nicola Pelà – aziende e sindacati hanno una grande opportunità di trovare assieme le risposte per migliorare i redditi delle famiglie. Le imprese che operano in uno stesso distretto possono mettersi assieme e, in collaborazione con la grande risorsa del non profit, fornire ai cittadini i servizi che la pubblica amministrazione non riesce più a garantire». Ma questa è un’altra prova che l’Italia produttiva, senza troppi clamori, si sta attrezzando per passare la lunga notte.