venerdì 28 dicembre 2012
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​Ogni mattina, Mirco porta i suoi 87 anni all’Autogrill per gettare lo sguardo oltre l’autostrada. Immagina che laggiù qualcuno stia lavorando di cesoie e troncarami. Certe cose non serve vederle se hai potato alberi per settant’anni e in giorni come questi, quando la nebbia inghiotte tutto, anche a salire all’ultimo piano dell’hotel non distingui i campi che circondano la A1. Figurarsi gli argini della Secchia. «Abbiamo vissuto con lo sguardo fisso al fiume – ricorda – che poteva affogarci tutti, poi un bel giorno è arrivato il terremoto e ci ha tolto la casa, il paese, gli amici, la terra…».Fino al 29 maggio Mirco Maretti viveva nel centro storico di Rovereto sulla Secchia, in una palazzina degli anni Sessanta. Tre stanze, una cucina, il mutuo appena estinto, il profumo del brodo di carne da Natale a Capodanno. Oggi il signor Maretti è uno dei millecinquecento sfollati emiliani che sono ancora ospitati negli alberghi della zona, in attesa di ricevere un modulo abitativo provvisorio, le casette prefabbricate "arredate e corredate" che stanno sorgendo intorno ai comuni terremotati. «La nostra casa non è crollata ma è inagibile – spiega la figlia Manuela –, ci hanno detto che abbiamo diritto a una abitazione provvisoria ma sono mesi che non sappiamo nulla di preciso. Intanto, aspettiamo qui». L’hotel Idea è un palazzone moderno che si trova sull’autostrada del Sole, a pochi chilometri da quella del Brennero e a pochissimi dalla Fiera di Modena. Posizione invidiabile per chi deve dormirci una notte; un limbo scoraggiante per chi da sette mesi è costretto a un’esistenza da commesso viaggiatore senza poter tornare a casa. «Chi ha conservato il lavoro è fortunato perché al mattino torna a vivere una vita "normale" – racconta Manuela – ma i pensionati e i giovani sono costretti a inventarsi la giornata». Dopo sette mesi, la fantasia scarseggia: «Ci si ritrova seduti sul divano della hall, davanti al televisore che non guardi neppure, o in camera, a riordinare sempre le stesse maglie». Noia, tristezza e i ricordi che diventano via via macerie ingombranti, fanno stare male. I Maretti sono i portavoce del gruppo di ospiti dell’hotel Idea. Gli altri non parlano per pudore. O perché sono troppo arrabbiati. Non per la paura del terremoto: «tanto quella non se ne andrà più» ammette Mirco. E neanche per la convivenza forzata con gli extracomunitari, che non mangiano i tortellini e si aggrappano ad abitudini così strane, così lontane. Quel che offende questa gente è l’incertezza. «Sappiamo che il Comune ci aiuterà ma non sappiamo esattamente quando né come e oramai abbiamo capito che nulla tornerà come prima» spiega Manuela.Sul ciglio dell’autostrada del Sole, vivere è assistere al correre via della vita altrui. I mesi che passano li scandisce il traffico: i mezzi di soccorso che tornano al Nord perché «l’emergenza emiliana è finita», il serpentone d’auto dell’esodo estivo, quello del rientro, infine, di nuovo, le code dei tir e quelle dei vacanzieri di Natale. Le donne non vanno all’autogrill e ti raccontano quant’erano diversi, "prima", i giorni di festa: «Cuocevamo il pollo casalino, a Rovereto non mancano quelli ruspanti, e da noi il Natale era ancora la festa delle famiglie, che si riuniscono nelle case dei nonni. Almeno fino al terremoto» sospira Maria Vaccari. Settantotto anni e una vita da magliaia, moglie, madre, nonna. È finita anche lei quaggiù, lontano dalla sua Secchia che non fa più paura, a guardar il mondo degli altri che corre sull’autostrada.
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