mercoledì 5 giugno 2019
Nella fotografia dell’istituto Demoskopika un Paese diviso anche sulla sanità. Il record di “espatri” spetta al Molise, già sotto i riflettori della cronaca per carenza di medici
(Ansa)

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Li chiamano “malati con la valigia”. Sono cittadini costretti a intraprendere un viaggio per un ricovero ospedaliero o per sottoporsi a esami clinici specialistici. Migrazioni interne con soggiorni che possono durare settimane e anche mesi. Da Catanzaro a Milano, da Campobasso a Bologna, da Potenza a Padova. È sempre successo. Ma è un trend che non si arresta, il segno di un’Italia divisa in due anche sul diritto alla salute.

In un solo anno, infatti, sono stati oltre 319mila i “viaggi della speranza” dal Sud al Nord della Penisola per le degenze ospedaliere. Un fenomeno che comporta una rimessa nei bilanci della sanità pubblica delle regioni meridionali pari a 1,2 miliardi a fronte di un saldo positivo per le strutture di destinazione che raggiunge i 1.141 milioni e riguarda Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, le più attrezzate in servizi e prestazioni mediche. I dati si riferiscono a un’indagine dell’Isp (Indice di performance sanitaria) realizzata in collaborazione con l’istituto Demoskopika (Gruppo italiano per le ricerche di opinione e di mercato) e tengono conto della situazione rilevata nei dodici mesi del 2017.

Il record negativo per “espatri” verso luoghi di cura fuori regione, nel periodo sotto osservazione, spetta al Molise dove, paradossalmente, c’è una domanda di medici che supera la disponibilità esistente tanto da obbligare alla chiusura dei reparti di ortopedia negli ospedali di Isernia e Termoli. A seguire, nella classifica dei pazienti che “fuggono”, figurano Basilicata e Calabria. Ma cosa spinge chi vive nel Meridione (dove l’“indice di fuga” è del 10,7%), a non rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche del proprio territorio? C’è una diffidenza dovuta all’inadeguatezza dei servizi ma esiste anche una necessità determinata dalla mancanza di ospedali, ambulatori e medici specialisti. L’indice di fuga al Centro invece, secondo la ricerca Isp, è dell’8,8% mentre al Nord la percentuale raggiunge solo il 6,8.

I più fedeli al proprio sistema sanitario risultano quindi i lombardi con appena il 4,7% di “esodi” per ricoveri fuori regione. A Milano, Pavia, Bergamo, Monza si concentrano infatti alcune eccellenze italiane della sanità, pubblica o convenzionata. Così, in Lombardia si conta anche il maggior numero di pazienti non residenti: 165mila i ricoveri nell’anno preso in esame. In Emilia Romagna, dove spiccano le strutture sanitarie di Bologna e Modena, sono stati 108mila; nel Lazio, con i policlinici di Roma che fanno la parte del leone, le presenze “forestiere” ammontano a 79mila. La Toscana, con Firenze e Pisa in primo piano, le degenze extraregionali sono 79mila.Ma c’è da rilevare anche che sono state ben 1,6 milioni le famiglie italiane che hanno dovuto rinunciare a curarsi per motivi economici.

Ma è il Trentino Alto Adige a figurare al top della graduatoria per la migliore sanità in Italia seguito a ruota da Emilia Romagna e Veneto. In coda c’è la Calabria, preceduta di poco da Campania e Sicilia. Gli indicatori seguiti nell’indagine della Demoskopika per questo segmento sono quelli della soddisfazione degli utenti, della mobilità attiva e passiva (il rapporto tra residenti che si ricoverano nella loro regione e quelli che ne scelgono altre), il risultato d’esercizio, il disagio economico delle famiglie, le spese legali per le liti di contenzioso e da sentenze sfavorevoli (190 milioni di euro la cifra complessiva spesa dalle aziende sanitarie locali), la democrazia sanitaria e, infine, la speranza di vita.

«La nostra indagine annuale – spiega il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio – conferma la persistente disparità tra l’offerta sanitaria presente al Nord rispetto a quella erogata nel Mezzogiorno. Un divario che, ostacolando il diritto alla libertà di scelta del luogo in cui curarsi, genera un circuito imposto di ricoveri che alimentano la migrazione sanitaria. Un fenomeno – continua – che rende la vita impossibile a chi è costretto a curarsi fuori dal proprio sistema sanitario regionale e lo condanna a una preoccupante “schiavitù sanitaria” dai connotati irreversibili e devastanti. È evidente – conclude Rio – che per il Sud la riorganizzazione del sistema sanitario rappresenti, in assoluto, l’emergenza principale per affrontare la quale non sono più sufficienti provvedimenti spot ma una terapia choc».

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