giovedì 22 luglio 2010
Nel mirino degli inquirenti i depositi esteri del coordinatore del Pdl: ci sarebbero, tra contanti e titoli, ben 2,6 milioni di euro. Lui si difende: soldi frutto di sacrifici. Fini replica: «Intransigenti sulla questione morale».
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La magistratura ha avviato un’indagine su alcune operazioni finanziarie effettuate da Denis Verdini e Flavio Carboni a partire dal 2004. Per questo il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli hanno dato mandato alla Guardia di Finanza di acquisire tutta la documentazione utile. Nel mirino degli accertamenti in particolare i conti depositati in alcune filiali dell’Unicredit e gestiti dal coordinatore del Pdl e dal faccendiere sardo. Obiettivo è stabilire se attraverso di essi (e anche quelli non più attivi o di persone riconducibili ai due) siano state compiute operazioni illecite. L’accertamento sarebbe stato disposto dagli inquirenti in seguito all’acquisizione degli assegni circolari per 800mila euro negoziati in gran parte da Antonella Pau, moglie di Carboni.In particolare al centro ci sarebbe il versamento di 2,6 milioni di euro da parte della Società toscana editrice (Ste) a Verdini e Massimo Parisi per la vendita di azioni della Nuova editrice Toscana. L’interessato replica con fermezza. Quei soldi non sono «frutto di chissà quale misfatto», bensì «il risultato di operazioni aziendali del 2004 fra imprese e soci dello stesso gruppo editoriale che nulla hanno a che spartire con questa indagine». Tale somma sarebbe stata esclusivamente utilizzata per l’attività del Giornale della Toscana e delle aziende ad esso collegate. «E comunque, a scanso di equivoci e di strane dietrologie, si tratta di risorse personali, frutto di enormi sacrifici economici fatti da me, dalla mia famiglia e dai miei soci», conclude Verdini. Che dice «basta» a quelle che definisce notizie «distillate» secondo una «regia».Gli sviluppi giudiziari della vicenda P3 si intrecciano sempre più, dunque, con e turbolenze politiche e in particolare con il delicato passaggio parlamentare della nuova composizione del Csm nella sua componente laica (vedi articoli a fianco e sotto). E con il persistente richiamo a una nuova questione morale. Che non arriva solo dalle opposizioni. Ma anche dal pungolo costante ormai rappresentato dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Che dopo averne parlato a Pescara l’altroieri, è tornato ieri sul tema.Lo ha fatto a margine della cerimonia del Ventaglio, il tradizionale appuntamento con i giornalisti. La politica su questo fronte deve essere «intransigente», scandisce. «Bisogna essere drastici – aggiunge  – nel ribadire che se vogliamo che la politica sia in sintonia con la società, nei confronti di comportamenti che sono scarsamente in sintonia con l’etica pubblica e con il rispetto delle regole del vivere civile». Per Massimo D’Alema (Pd) la vicenda «fa venire alla luce la crisi di un sistema di potere, la crisi di un governo e la crisi di un leader che ha riportato il Paese agli standard di corruzione della vecchia Italia».Ma le vicende nelle quali sono messe in discussione le posizioni di Verdini e del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo provocano soprattutto un duro scontro tra maggioranza e opposizioni. A difendere il coordinatore arriva il collega di "triumvirato" Ignazio La Russa: «Finora abbiamo assistito a molto fumo ma a poco arrosto». Mentre a difendere il suo numero due è il Guardasigilli Angelino Alfano, che polemizza con l’Italia dei Valori. Rispondendo a un’interrogazione dei dipietristi, Alfano ribadisce «la piena correttezza dell’operato di Caliendo in due anni di lavoro» e rigetta l’ipotesi che non si occupi più del ddl intercettazioni: «Non la prendiamo nemmeno in considerazione». Dall’inchiesta non emergerebbero, infatti, azioni illecite di Caliendo. Infine, la stoccata ai dipetristi: «Per voi la questione morale è andare dietro a ogni inchiesta, per noi è morale perseguire gli autori dei reati senza inseguire fantasmi». Piccata la replica di Antonio Borghesi, vicecapogruppo del partito del Gabbiano alla Camera. «Risposta meramente burocratica. L’etica viene prima del codice penale». E Caliendo dovrebbe fare le valigie, visto che «è provato che ha preso parte ad alcune riunioni dell’associazione segreta denominata P3».
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