martedì 8 ottobre 2013
La storia di Giuseppe Vazza, 80 anni e 15 familiari tra le vittime del Vajont. Io che ero a conoscenza di certi pericoli, avrei dovuto vegliare di più sulla mia famiglia, invece...». Invece? «Sono vivo. E loro sono morti... per una partita di calcio».
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Ancora il senso di colpa, dopo 50 anni. Giuseppe Vazza, allora macellaio a Codissago, se lo porta dietro all’età di 80 anni. «Quella sera, vigliaccamente, ero al bar. C’era un’importante partita di calcio in tv». Vigliaccamente perché? «Io che ero a conoscenza di certi pericoli, avrei dovuto vegliare di più sulla mia famiglia, invece...». Invece? «Sono vivo. E loro sono morti... per una partita di calcio». Vazza ha perso i familiari, la mamma e il nonno, la casa, la macelleria. «Sono stato tirato fuori dalle macerie e salvato per il rotto della cuffia. Mia moglie era in stato interessante e per lo choc ha perso nostro figlio. Mio padre era in Africa per lavoro ed è rientrato immediatamente». Oltre alla moglie e al padre, il papà di Giuseppe – Vazza senior – ha perso due fratelli con le intere famiglie, le cognate e le loro famiglie. Ben 15 i morti in casa Vazza. «Io avevo la macelleria a Codissago e all’epoca fornivo le mense operaie del Vajont quindi andavo su, alla diga, quasi tutti i giorni ed ero a conoscenza del dramma che si stava verificando. Un mese e mezzo prima, all’inizio di settembre, sono stato testimone di un fatto drammatico. Mentre un pomeriggio consegnavo la carne alla cuoca, in una baracca arroccata lungo il pendio della diga, dal monte Toc si è staccata l’ennesima frana che, cadendo nel lago, ha sollevato un’onda alta come un campanile che ha attraversato il bacino e si è diretta verso di noi. Io e la cuoca siamo scappati in strada e, in questo modo, ci siamo salvati. L’onda, infatti, è arrivata a sbattere sotto il pavimento della cucina. La paura è stata tanta. Ma quello che più mi ha allarmato è che un paio di giorni dopo, tornando su per consegnare la fornitura, non ho trovato la cuoca. Si era licenziata. Sapevo che aveva paura ma non fino a quel punto». Al suo posto era stata assunta un’altra ragazza, originaria di Agordo, che molto probabilmente quella sera si era coricata nel suo letto nella baracca: è stata trovata 260 metri più in alto smembrata in mezzo ai rovi. Vazza è stato uno dei pochi sopravvissuti a non aver accettato di transare con l’Enel, subentrato alla Sade. «Io non avevo alcun diritto all’indennizzo per la morte di nipoti e cugini ma, per il risarcimento di mia mamma volevano darmi 600 mila lire dell’epoca. Per una questione di principio, non accettai. Fra l’altro chi transava rinunciava a qualsiasi rivalutazione giudiziaria. Il 94% l’ha fatto, dietro pressioni, gli altri no. Mi sono costituito parte civile assieme a mia sorella, la vicenda è durata fino all’82, 19 anni di iter giudiziario, per raggiungere una verità sottintesa». Giuseppe ricorda nitidamente i pochi minuti della tragedia. «Alle 22.39 è scoppiato questo terremoto centrifugato, un rumore assordante che non permetteva più a sentire dalle orecchie, usciva dalla terra, ti attraversava il corpo fino a farti scoppiare la testa. Questa sensazione me la porto dietro tuttora. Il bar è imploso su se stesso. Sono scappato. Sono arrivato fino alla porta di casa mia ma lì sono stato investito dall’onda di vento: prima è arrivata un’aria enorme, gigantesca che non ti faceva respirare. Questa mi ha spazzato via, un amico mi ha aiutato a rialzarmi. Ero denudato. Abbiamo raggiunto una via laterale che sale verso l’alto del paese ed eccomi qua a raccontare». A raccontare e a perdonare? «Si possono perdonare tutti, anche i dirigenti della diga, che pure hanno ricoperto responsabilità importanti. Non si possono perdonare le grandi società che gestivano quegli impianti e che hanno capito verso la fine che i morti convenivano di più che i vivi. Conveniva transare. Per un marito davano poco più di 2 milioni di lire, per una moglie 1 milione e 8, 1 milione e 9, un figlio 1 milione e 2, di una madre 600 mila, 400 se non vivevi assieme. Per i bilanci delle loro società sarebbe stato più conveniente il risarcimento».
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