mercoledì 11 novembre 2020
A differenza dei preparati basati su virus inattivati, il nuovo farmaco deve essere tenuto a 70 gradi sotto zero. Quindi è necessario un piano logistico nazionale
Ora però il vaccino anti-Covid va distribuito e c'è da risolvere il problema logistico della catena del freddo

Ora però il vaccino anti-Covid va distribuito e c'è da risolvere il problema logistico della catena del freddo - Reuters

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Non è infrequente ascoltare l’annuncio del governo o di aziende produttrici sull’arrivo del vaccino anti-Covid nei prossimi mesi. L’attenzione si concentra quasi sempre sui tempi per la conclusione delle fasi sperimentali, sull’efficacia e sui possibili eventi avversi legati alla sua somministrazione, dando l’impressione parziale che il solo ostacolo da superare sia il passaggio dalla produzione su scala di laboratorio o impianto pilota (fino a qualche decina di migliaia di dosi, per uso sperimentale sui volontari) a quella fatta invece su scala industriale (centinaia di milioni di dosi, da poter somministrare alla popolazione).

A ben vedere – come sanno gli esperti di logistica biotecnologica, farmaceutica e clinica e di profilassi vaccinale – tra l’uscita dei flaconcini con la dose di vaccino dalla casa produttrice e la sua inoculazione nel singolo paziente stanno il trasporto, la distribuzione e la conservazione, che devono avvenire secondo tempi e modalità che garantiscano la non degradazione del composto e la sicurezza di una corretta somministrazione.

Non si tratta di far arrivare una scatola sullo scaffale di una farmacia, pubblica od ospedaliera, perché venga ingerita una compressa o praticata una iniezione di una molecola stabile per mesi o per anni a temperatura ambiente, come un antipiretico, un analgesico o un cortisonico. Un vaccino antivirale è una preparazione molto complessa, che contiene molecole (proteine, acidi nucleici, lipidi) o strutture sopramolecolari (elementi strutturali del virione) sensibili alla temperatura e rapidamente deperibili se non in condizioni ottimali.

Tra i potenziali vaccini anti-Covid, quelli introdotti più rapidamente nelle fasi sperimentali cliniche sono i cosiddetti “a Rna” (tra cui i prodotti di Pfizer-BioNTech e di Moderna), che trasportano all’interno delle cellule del vaccinato, attraverso una nanoparticella lipidica (Lnp), la molecola di Rna messaggero che farà loro produrre una proteina componente del coronavirus Sars-Cov-2 in grado finalmente di innescare l’attesa risposta immunitaria contro di esso ancor prima di una eventuale infezione.

A differenza dei vaccini basati su virus inattivati, particelle virus-simili (Vlp), subunità proteiche oppure Dna – che sono trasportati e conservati tra +2 e +8 °C (un ordinario frigorifero) – quelli a Rna richiedono una temperature di –70 °C (assai inferiore a quella di un congelatore per alimenti). Ciò è dovuto non solo alla notevole instabilità termica della molecola di Rna (il Dna si conserva invece anche a qualche grado sopra lo zero), ma anche alla forte sensibilità al calore delle nanoparticelle, che si degradano nel tempo quanto più la temperatura si avvicina a quella di un normale congelatore.

La grande sfida, che deve essere affrontata se si vuole utilizzare questo tipo di vaccini entro un breve numero di mesi (inizialmente su una prima fascia di pazienti, i più esposti al Covid per ragioni professionali: personale sanitario, forze di polizia e militari, impiegati di servizi pubblici essenziali), è l’efficiente gestione dell’approvvigionamento, della conservazione e della distribuzione fino punto di vaccinazione.

Per mantenere –70 °C servono degli ultracongelatori (macchine ingombranti disponibili sinora in pochi esemplari nei laboratori e negli ospedali, prodotte in limitate quantità da poche aziende nel mondo) oppure la produzione di una grande quantità di “ghiaccio secco” (anidride carbonica allo stato solido, da conservare in appositi contenitori), che richiede strumenti anch’essi non facilmente reperibili.

Per la “catena del freddo” vaccinale è indispensabile un piano logistico nazionale raccordato alla grande distribuzione internazionale e una puntuale programmazione delle convocazioni dei vaccinandi nei centri di profilassi locali in giorni e orari prestabiliti, per consentire un impiego coordinato, immediato e razionale delle dosi, senza sprechi o rinvii delle inoculazioni a causa del deterioramento del vaccino. A questo piano si sta già lavorando in Europa e in Italia. All’arrivo del vaccino, sarà il nostro Paese preparato a una grande operazione che, insieme alla diagnostica e alla terapia del Covid, ci potrà traghettare fuori dalla pandemia?

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