mercoledì 17 marzo 2021
Occorre partire dalla realtà dei dati e arrivare a conclusioni trasparenti, evitando scontri di tipo "ideologico"
AstraZeneca, il vaccino sospeso in via cautelativa

AstraZeneca, il vaccino sospeso in via cautelativa - Reuters

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La sospensione, in via cautelativa, della inoculazione del vaccino AstraZeneca sta suscitando vivacissime reazioni di segno opposto, che hanno in comune un difetto di realismo, ragionevolezza e moralità. Quanti esultano per il (presunto) riconoscimento della "pericolosità" dei vaccini dimenticano che la realtà dei farmaci – sia preventivi che terapeutici – include sempre possibili eventi avversi (l’antidoto perfettamente sicuro non esiste), che la ragione è chiamata a valutare il rapporto tra benefici e rischi, e che questo rapporto non è rilevante solo clinicamente ma anche moralmente, in relazione al bene individuale e comune da perseguire.

Chi si straccia le vesti per un (inaccettabile) ostacolo gettato sulla corsa verso la vaccinazione di massa non tiene conto che gli eventi avversi si sono realmente verificati in diversi Paesi e con lotti differenti del medesimo vaccino e nessuno se li è inventati apposta (serve tempo e impegno di studio per capire la loro origine e causa), che è ragionevole chiedersi come mai si sono verificati nei soggetti vaccinati proprio con il preparato AstraZeneca (altri vaccini hanno provocato patologie differenti), e che domandarselo è moralmente lecito, e anzi doveroso, in vista del bene dei singoli cittadini e della comunità.

Partiamo dalla realtà. Il report degli eventi avversi registrati dalla farmacovigilanza nel Regno Unito per il vaccino AstraZeneca tra il 4 gennaio e il 28 febbraio comprende 1.922 casi, di cui 39 fatali. Considerati i diversi milioni di vaccinati con questo preparato in tale periodo, l’incidenza di eventi avversi non sorprende: vi sono in commercio farmaci di altro genere con una storia di effetti indesiderati ben più pesante.
Si deve però notare – come ha fatto tra i primi il Paul-Ehrlich-Institut (Germania) – la ripetuta presenza tra di essi di «una forma speciale di trombosi venosa cerebrale, molto rara (trombosi della vena sinusale), in connessione con una carenza di piastrine (trombocitopenia) e sanguinamento temporale».


I dati resi noti dalle autorità inglesi e tedesche mostrano
che sulle cause degli «eventi avversi»
è doveroso fare chiarezza, anche se il vaccino privo
di rischi non esiste

Mentre l’incidenza complessiva della trombosi venosa cerebrale (in tutte le sue forme) è pari allo 0,5-1% dei ricoveri per ictus cerebrale, la trombosi venosa sinusale colpisce solo 3-4 soggetti ogni milione per anno. Si rende quindi necessario un approfondimento per evidenziare o escludere un nesso causale (propter hoc) e non solo coincidenziale (post hoc), ancor più perché lo stesso evento avverso si è ripetuto in soggetti con caratteristiche diverse e con dosi appartenenti a lotti differenti. Non farlo rappresenterebbe un’inaccettabile mancanza di serietà professionale, onestà intellettuale e responsabilità civile e politica.

L’affermazione di un accettabile rapporto tra beneficio e rischio nell’impiego di questo vaccino (secondo l’etica biomedica, cattolica e non solo, il rischio e il beneficio di un intervento sanitario devono essere valutati per il medesimo soggetto: non il rischio per alcuni e il beneficio per altri) non può essere fatta a priori, dando per scontato ciò che non è ancora stato appurato, ma solo dopo l’esito di incontrovertibili indagini indipendenti.

La comunicazione dei risultati andrà fatta con la trasparenza che è dovuta nel rapporto tra istituzioni e cittadino, senza la quale è capzioso lamentare una perdita di fiducia nella campagna vaccinale e una diminuzione della adesione volontaria a essa. Lo scopo (buono) di proteggere dal Covid la popolazione non può essere perseguito attraverso un mezzo (cattivo) come l’inganno.


La valutazione ultima del rapporto tra beneficio
e rischio non può
che essere fatta individualmente, nel rapporto
tra il paziente e il proprio medico

Infine, la valutazione ultima e decisiva del rapporto tra beneficio e rischio per ciascun soggetto non può che essere fatta individualmente, nel rapporto di stima e fiducia tra il paziente e il proprio medico curante (non vi è tempo né conoscenza reciproca per poterlo fare con la dovuta calma nei punti vaccinali, ancor meno in quelli organizzati come drive-through), tenuto conto dell’anamnesi clinica, dei farmaci in corso di assunzione, delle condizioni di vita e di lavoro e del numero e tipo di contatti interpersonali, ed eventualmente dopo aver eseguito alcuni esami di laboratorio.

L’intera vicenda degli eventi avversi imprevisti in soggetti vaccinati è istruttiva per evitare il ripetersi di errori o leggerezze nella fase di sperimentazione clinica, nella comunicazione delle autorità ai cittadini e nell’enfasi eccessiva posta sul vaccino come "soluzione senza problemi" per la pandemia.
È allora necessario riconoscere la libertà responsabile del cittadino non come nemica del progetto di bene comune ma come imprescindibile interlocutore e alleato per il successo della campagna vaccinale.

Roberto Colombo è genetista, docente di Bioetica e Antropologia



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