domenica 28 agosto 2016
​Il direttore della Caritas italiana Don Soddu: nella nostra agenda l'accompagnamento e la vicinanza. Osservare e discernere prima di stabilire l'utilizzo delle risorse.
Avvenire con la Caritas: ecco come aiutare
«Urgente ripartire dal tessuto sociale»
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Ascoltare, osservare, discernere. Anche nelle ore più drammatiche, nelle zone più difficili tra Amatrice e Pescara del Tronto, lo stile Caritas è rimasto lo stesso. E cioè ascoltare i bisogni reali del territorio. Osservare la situazione grazie ai mille occhi degli operatori che lavorano sul posto. Discernere infine per provvedere all’intervento più opportuno. Tra venerdì e ieri, il direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu, ha visto da vicino le popolazioni colpite dal sisma, ha parlato con il vescovo di Ascoli Piceno, Giovanni D’Ercole, e quello di Rieti, Domenico Pompili, oltre che con i rispettivi direttori diocesani Caritas e con i parroci dei paesi flagellati. Ha potuto quindi rendersi conto delle urgenze e definire le priorità per il lavoro di accompagnamento Caritas. Quindi, don Francesco, quale sarà l’agenda per l’azione della Caritas in un territorio così duramente colpito? Mai come in questi giorni ho provato l’efficacia e la saggezza del nostro metodo: ascoltare la gente e osservare quello di cui davvero c’è bisogno per capire quello che successivamente andrà fatto. Non dimentichiamo che la Caritas è un organismo pastorale che accompagna e supporta l’azione caritativa della Chiesa. E questa azione non si ferma. Parrocchie e realtà coinvolte sul territorio hanno continuato a far sentire la propria presenza. Insisto sulla necessità di capire prima di fare. Normale che in questa fase ci sia tanta voglia di accorrere sui luoghi del terremoto per dare concretamente una mano. Ma il volontariato spontaneo può risultare addirittura dannoso. Prima di muoversi serve una valutazione attenta e un coordinamento altrettanto rigoroso. In concreto come stanno operando i volontari Caritas nei paesi flagellati dal terremoto? Direi che dobbiamo tornare a quei tre verbi già espressi. In questa fase l’importante è non intasare il lavoro dei soccorsi. La nostra presenza si caratterizza soprattutto per l’impegno di coadiuvare l’azione degli operatori, per esempio con la distribuzione dei 1.200 pasti quotidiani, lavoro che continua anche dopo l’allestimento delle cucine da campo nelle tendopoli. Ma al di là dell’impegno concreto, prestiamo massima attenzione all’evolversi della situazione e ai bisogni più immediati di chi è stato colpito dal terremoto con uno sguardo all’oltre. Per ricostruire dobbiamo ricominciare dalle persone, dal tessuto sociale. Tradizione della Caritas quella di riservare grande attenzione ai più fragili tra i fragili, bambini, anziani, disabili. È così anche in questo caso? Certo, ma anche qui dobbiamo intervenire, valutando con attenzione quello che abbiamo davanti. Sembrava per esempio che fossero stati coinvolti centinaia e centinaia di bambini. Invece nelle tendopoli, per for- tuna, non sono tantissimi. Ma sulla base di queste prime indicazioni ci è arrivato un camion stracarico di giocattoli. Ora si tratta di destinare queste risorse in modo intelligente, perché nulla vada sprecato. Sugli anziani, certo, l’attenzione sarà costante. La loro presenza è fondamentale proprio per quello che dicevo prima, cioè l’impegno della ricostruzione del tessuto sociale. A proposito di risorse in arrivo, le offerte di aiuto da tutte le Caritas italiane e anche dall’estero sono tantissime. Come saranno utilizzati questi aiuti? Dipenderà dalla richiesta delle diocesi dopo la fase dell’emergenza. Possiamo ipotizzare mille cose ma prima, non mi stancherò di ripeterlo, dobbiamo ascoltare la voce della base. Comunque è vero, le offerte, le parole di vicinanza e solidarietà sono davvero tante. Mi ha commosso, tra le altre, quella del vescovo di Erbil, il capoluogo del Kurdistan, nel Nord dell’Iraq, che ha accolto negli ultimi mesi i profughi in fuga dagli attacchi del Daesh. Pensare che in un luogo così martoriato si faccia una raccolta di fondi per i nostri terremotati è davvero un segno evangelico straordinario. Lei ha più volte spiegato che anche la preghiera è forma eminente di carità. Ma che si può pregare anche con una carità operosa, con una preghiera che diventa impegno concreto. È così? Certo, Dio è carità. L’impegno della carità è anche riproporre questo 'prezzo bello' che è l’offerta della propria vita. Quello che fanno ogni giorno i vostri volontari... Per favore, non parliamo di volontariato. Dovrebbe bastare la parola cristiani. Nella testimonianza del Vangelo il volontariato è qualcosa di già incluso. E poi, se non tutti possiamo essere 'volontari', tutti però siamo chiamati ad essere buoni cristiani. Una delle più grandi paure manifestate dalle popolazioni colpite dal terremoto è quella di essere lasciate sole. Dopo la fase dell’emergenza, come potrà continuare l’impegno Caritas in quelle zone? Ma la Caritas era già presente prima e continuerà ad esserlo dopo. Il nostro impegno non verrà meno, anzi. Continueremo ad essere di supporto in tutte le fasi dell’emergenza e della ricostruzione. Possiamo dirlo con sicurezza. La comunità cristiana sarà tra i protagonisti della rinascita. Perché in questi giorni ha più volte sottolineato la necessità di vigilare in tutte le fasi dell’emergenza e poi della ricostruzione? Perché nulla dovrà essere sprecato. E nessuno dovrà essere chiamato ad essere il contrario di quello che è. Insomma, ciascuno faccia bene ciò che è di sua competenza. E lo ripeto soprattutto a me stesso. Come dice papa Francesco le nostre braccia, le nostre orecchia, le nostri mani, le nostre labbra siano quelle di Cristo. In ascolto di ciò che Cristo vuole insegnarci in questo momento. E secondo lei, in queste ore di sofferenza, cosa ci vuole insegnare?È chiaro che non ci sono risposte preconfenzionate. Ma è altrettanto chiaro che dovremmo ascoltare di più la sua Parola. In questi giorni si è fatto riferimento spesso al racconto biblico del primo libro dei Re, quando Elia cerca Dio, ma non lo trova nel vento impetuoso, né nel terremoto, né nel fuoco, bensì in una brezza leggera. Allora torna sui suoi passi e la fuga si trasforma in pellegrinaggio. Anche il Papa ci invita a vivere questo Anno Santo come un pellegrinaggio per arrivare ad un incontro di salvezza. Ecco, mi sento di sperare in questo percorso che dovrà portarci alla ricostruzione delle zone terremotate. Che sia davvero percorso di salvezza per tutti.
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