giovedì 8 febbraio 2018
La commissione: morti tra i militari. La Difesa: accuse inaccettabili
Un’immagine d’archivio delle operazioni di rilievo della radioattività da parte di militari nei Balcani (Ansa)

Un’immagine d’archivio delle operazioni di rilievo della radioattività da parte di militari nei Balcani (Ansa)

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«Sconvolgenti criticità» sono state scoperte nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari «in Italia e nelle missioni all’estero, che hanno contribuito a seminare morti e malattie». Lo rileva la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, presentata ieri dal presidente Gian Piero Scanu. Una denuncia molto dura che provoca una non meno netta replica della Difesa, che parla di «inaccettabili accuse».

Ma la Commissione non si è limitata all’uranio, affrontando anche rischio dell’amianto, presente in navi, aerei, elicotteri, sostenendo che «solo nell’ambito della Marina Militare 1.101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie asbesto-correlate». Nel mirino anche i poligoni, in particolare quelli sardi, e la conferma dell’«allarme» per la situazione delle missioni all’estero, con «l’esposizione a inquinanti ambientali in più casi nemmeno monitorati». E proprio per questo si chiede «al prossimo Parlamento di vigilare con il massimo scrupolo sulle modalità di realizzazione della missione» in Niger. Mentre la relazione alla procura di Roma perché valuti eventuali ipotesi di reato.

La Commissione denuncia ancora il «negazionismo» dei vertici militari e gli «assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo». Mentre gli esperti ascoltati hanno riconosciuto il nesso tra esposizione all’uranio impoverito e tumori. In particolare si cita l’audizione di Giorgio Trenta, presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, che avrebbe «riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari». Ma proprio dal professore arriva una prima precisazione ed è 'giallo': «Assolutamente non è il mio pensiero, non ho mai detto che l’uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati. Le mie affermazioni sono state travisate».

E arriva in serata anche la dura reazione dello lo Stato Maggiore della Difesa. «Anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate dal professor Trenta le forze armate respingono con fermezza le inaccettabili accuse» mosse dalla Commissione, ribadendo di tutelare «la salute del proprio personale adottando tutte le cautele e controlli sanitari periodici. Questa attenzione è dedicata non solo al personale ma pure all’ambiente in cui esso opera tanto in Italia quanto all’estero». Quanto all’uranio impoverito, «non abbiamo mai acquistato o impiegato munizionamento» contenente il metallo contestato e le centinaia di ispezioni fatte a poligoni, siti militari e aree addestrative hanno «hanno concordemente escluso presenza di uranio impoverito».

Ma Scanu conferma. Le affermazioni del professore Trenta sull’uranio sono depositate in una sua perizia giurata presso la Corte dei Conti dell’Abruzzo e nella sua audizione in Commissione il 23 marzo 2016 gli «fu chiesto due volte se confermava quel testo e non ne negò la paternità. Non si riesce a capire per quale motivo ora il professore voglia negare 'la responsabilità di tali proiettili nel generare le nanopolveri che sono la vera causa di molte forme tumorali'». Affermazioni simili arrivano anche da Carmine Pinto, past president dell’Associazione italiana di oncologia medica. «Potenzialmente l’esposizione continua e a basse dosi all’uranio impoverito come quella che potrebbe essersi determinata a danno dei militari nelle missioni ed esercitazioni può essere cancerogena». Numerosi, ricorda, «sono i casi di leucemie e linfomi non Hodgkin registrati tra militari che sono stati in missioni o in basi dove erano utilizzati tali proiettili».

Quella che ieri ha presentato la relazione finale è la quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito. Le prime indagini all’inizio del 2000, quando si cominciò a studiare i possibili effetti del materiale contenuto in munizionamenti della Nato usati nelle missioni nei Balcani. Un uso prima negato dalla Nato e poi confermato, soprattutto grazie all’impegno dell’allora ministro della Difesa, Sergio Mattarella. Una vicenda mai completamente chiarita che, secondo l’Osservatorio militare, avrebbe provocato la morte di 352 uomini delle Forze armate italiane e oltre 7mila malati. Numeri però solo parzialmente confermati dalle sentenze.

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