martedì 19 novembre 2019
Al Museo Diocesano le immagini scattare da Margherita Lazzati a Opera. Dove cristiani, musulmani, ebrei e buddisti coltivano spazi di convivenza e dialogo. Che il «mondo esterno» fatica a realizzare
Milano: una delle foto scattate a Opera da Margherita Lazzati e in mostra al Museo Diocesano fino al 26 gennaio 2020

Milano: una delle foto scattate a Opera da Margherita Lazzati e in mostra al Museo Diocesano fino al 26 gennaio 2020

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«Sono un ergastolano e pensavo di non uscire più. Ho già scontato 27 anni ma di fatto da quattro usufruisco di spazi di libertà. Sono una testimonianza della Trasformazione». La «t» maiuscola ce l’ha messa R.C., persona detenuta nella casa di reclusione di Milano-Opera, che proprio dietro le sbarre ha scoperto il buddismo. Ed è stato un incontro decisivo. La sua voce si offre, con numerose altre, dal catalogo della mostra di Margherita Lazzati Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa inaugurata giovedì 14 novembre al Museo Diocesano «Carlo Maria Martini» di Milano, dove rimarrà allestita fino al 26 gennaio 2020.
Cinquanta immagini in bianco e nero, scattate ad Opera – senza flash, cercando di usare il più possibile la luce naturale, nell’ineludibile cornice di muri e sbarre – fra il 2017 e il 2019. Fotografie raccolte partecipando in silenzio, accostandosi con delicatezza e rispetto – come ha fatto Margherita Lazzati – a momenti di preghiera personale e comunitaria, a culti e ad azioni liturgiche delle più diverse fedi e confessioni. Perché questa è la realtà del carcere. Che può e dev’essere luogo di rigenerazione e riscatto, come vuole la Costituzione italiana, e non soltanto struttura di punizione, come vuole la retorica del «mettere in galera e buttare via la chiave», tanto cara alla vulgata securitaria oggi così popolare.

Il carcere, luogo di coesistenza e collaborazione tra le religioni

Nel suo intervento pubblicato in catalogo il direttore di Opera, Silvio Di Gregorio, cita padre David Maria Turoldo: «Nessuno uccida la speranza, neppure del più feroce assassino, perché ogni uomo è un’infinita possibilità». Ecco lo scopo, il respiro, l’orizzonte dell’istituzione-carcere e di quanti vi prestano servizio. Ma le fotografie di Lazzati danno volto e voce anche ad una delle realtà più importanti, fra quante accomunano carcere e "mondo esterno": il primo come il secondo sono spazi di pluralismo religioso e culturale. Ma nel primo, forse più che nel secondo, incontro e dialogo sono pane quotidiano e condiviso – anche grazie all’opera paziente, alla prossimità generosa, ad aiutare il cammino di riscatto dei detenuti, di guide spirituali, di volontari, di ministri di culto cattolici, evangelici, ebrei, musulmani, buddisti e di altre tradizioni. A questo proposito, ecco un passo dell’illuminante contributo in catalogo di monsignor Luca Bressan, vicario episcopale della diocesi di Milano per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale: «L’artista ci aiuta a cogliere come le religioni siano già riuscite ad abitare il carcere, mostrando proprio in questo luogo le energie migliori che sanno sprigionare in termini di umanizzazione, di capacità di futuro, di educazione. Anticipando quanto la società e le istituzioni milanesi non sono ancora riuscite a realizzare negli spazi normali della vita civile e quotidiana, le religioni dentro il carcere rivelano una capacità di collaborazione e di coesistenza che molti non sanno riconoscere». Ed ecco cosa ha scritto Luigi Pagano, già direttore della casa circondariale milanese di San Vittore, ex provveditore dell'Amministrazione penitenziaria della Lombardia: «Mentre nel mondo libero, quello che dovrebbe essere buono, quello che dovrebbe dare l'esempio, in nome della religione si stermina, si realizzano pulizie etniche, leggasi massacri, nel mondo dei cattivi la religione ritrova se stessa e crea armonia, accomuna le genti».

Lazzati: «Accolta con calore e umanità dai detenuti, un vero privilegio»

Margherita Lazzati ha iniziato ad "abitare" Opera nel 2011, partecipando, come fotografa, alle attività del suo «Laboratorio di lettura e scrittura creativa». Dal dialogo avviato con l’allora direttore Giacinto Siciliano, oggi alla guida di San Vittore, e proseguito con Di Gregorio e con Luigi Pagano, ha preso forma il progetto di illustrare con la fotografia la corrispondenza tra la realtà del carcere e alcuni articoli dell’ordinamento penitenziario. In questo caso, il numero 58 sulle «manifestazioni della libertà religiosa». Dalle migliaia di scatti di Lazzati sono stati selezionati i cinquanta di questa mostra curata da Nadia Righi e Cinzia Picozzi, rispettivamente direttore e conservatore del Museo Diocesano, e realizzata con la collaborazione della Galleria l’Affiche di Milano, il cui staff si è fatto carico del prezioso lavoro di ideazione, progettazione, produzione e allestimento della mostra- «Esempio raro di volontariato culturale: senza di loro non ci sarebbe nulla di ciò che il visitatore può vedere», scandisce Lazzati. Altri grazie vanno a Sesta Opera, storica associazione di assistenza carceraria, e al Laboratorio di lettura e scrittura creativa. Ma il suo primo grazie, «un grazie incondizionato», va «alle persone detenute che ho fotografato. Essere accolta in momenti così personali e privati con tanto calore e umanità è stato per me un vero privilegio». E la mente va alle parole dello zio Giuseppe Lazzati. «Da ragazzi ci chiamava a riconoscere l'importanza di inginocchiarsi davanti al mistero», ricorda Margherita. «Ecco: io ho trovato, tra le persone che ho fotografato, credenti di tutte le religioni, persone inginocchiate di fronte a un mistero e che si fanno interpellare in un cammino che è di esclusione dalla società. Questa è una cosa che non scorderò mai e della quale sono profondamente grata».

Rinascere, trovare la libertà, sentirsi amati. Dietro le sbarre

Le foto sono tutte esposte senza didascalia; sfuocati i volti delle persone delle quali non si è avuta la liberatoria; e dei volti perfettamente visibili, in alcuni casi, non è facile capire se sono di persone detenute oppure no. Queste fotografie sono nate partecipando in silenzio alla vita del carcere. E nel silenzio vanno viste, per poterne ascoltare le voci. E comprendere come il carcere, per quanto cerchiamo di rimuoverlo, fa parte della nostra società, si ostina a dire Lazzati. E a volte è più avanti del "mondo esterno". Nel silenzio si potrà ad esempio sentire cosa «gridano prepotentemente» queste immagini: e, cioè, che «c’è un punto nel cuore dell’uomo che resta libero, sempre, persino in carcere – scrive Nadia Righi –. Non si può togliere all’uomo la possibilità di un rapporto profondo e personale con Dio». Perché questo incontro avvenga e si rinnovi, è prezioso il ruolo di persone come suor Beniamina, delle suore del Cottolengo, da quasi vent'anni volontaria della Cappellania di Opera. «Fin dall'inizio in genere sono stata bene accolta, sia dalle persone detenute, che dagli agenti», racconta la religiosa. «Predico la speranza nella misericordia di Dio», è la sua missione vissuta con le parole e con gesti concreti di prossimità. «Mi sento fin troppo amata», è il bilancio del suo "centuplo quaggiù". Incalza don Antonio Loi, per anni cappellano a Opera (e pure agente di polizia penitenziaria quando, studente di architettura, dovette assolvere l'obbligo di leva): «In carcere ho incontrato Gesù». Queste testimonianze prendono voce dal catalogo della mostra in dialogo con quelle di altri ministri di culto (come Aba Jacob, della Comunità ebraica di Milano, o Roberto Grasso, evangelico) e di alcuni detenuti. E sono parole che possono spiazzare chi non conosce il mondo penitenziario. «Dire che ho trovato la libertà in carcere può sembrare un paradosso, qualcosa di irreale, tuttavia è quanto mi sta succedendo», racconta A.D.M., altra persona detenuta a Opera. «Conoscere la Parola di Dio attraverso le Sacre Scritture, per me, è stato come rinascere».

• Margherita Lazzati, «Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa». Museo Diocesano «Carlo Maria Martini», piazza Sant’Eustorgio 3, Milano. Fino al 26 gennaio 2020. Catalogo edizioni La Vita Felice. Per informazioni su orari e biglietti: www.chiostrisanteustorgio.it

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