mercoledì 20 luglio 2016
​L'ex procuratore commenta la sentenza Olivetti: non tutti i tribunali sono attrezzati per processi come l'Eternit.
Processo Olivetti: cinque anni a De Benedetti
Guarinello: «Una procura per i reati ambientali»
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Raffaele Guariniello oggi è un magistrato in pensione, il superconsulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’amianto e sull’uranio impoverito nelle Forze Armate; ma per tutti è il grande accusatore dell’Eternit, il procuratore che ha aperto la stagione dei processi all’amianto che uccide. E che guarda all’esito della battaglia con grande disincanto. Partiamo dalla sentenza Olivetti: a Ivrea è stata condannata la Storia industriale del Paese? Guardi, la prima condanna per un caso di mesotelioma, con la morte di un lavoratore che lavorava alla coibentazione del grattacielo Rai di Torino, è addirittura del 1995; poi venne l’Eternit e altre inchieste, sino all’Olivetti, che è giunta solo al primo grado di giudizio; insomma, siamo di fronte a un processo di giustizia molto lungo e complesso, che negli anni ha creato una ricca giurisprudenza. Più che processare la Storia industriale del nostro Paese direi che l’Italia sta facendo scuola; anzi, è già diventato un faro giuridico a livello internazionale. Qui si celebrano procedimenti che non si fanno in nessun’altra parte del mondo. A ottobre sono invitato a parlare in Brasile perché sono tutti stupefatti di quello che avviene in Italia. Non dimentichiamo che l’amianto continua a essere prodotto e utilizzato in sessanta Paesi, tra cui la Cina, la Russia, l’India. Perché il cuore di questa battaglia batte proprio a Torino? Perché quella procura, dove ho lavorato per tanti anni, era attrezzata per raccogliere questa sfida, mentre molte altre devono fare i conti con deficit strutturali che impediscono di rispondere alla domanda di giustizia di tantissime vittime dell’amianto, le quali ancora muoiono senza che nessuno istruisca un processo. Dal Piemonte alla Sicilia, ci sono migliaia di tragedie inascoltate: a Torino, come a Ivrea, non ci sono magistrati più bravi che altrove; semplicemente, altre procure dispongono di organici troppo ridotti e non riescono a diventare un punto di riferimento per i medici, i quali, una volta riscontrato un caso di mesotelioma, dovrebbero comunicarlo alla magistratura. Come si supera questo deficit strutturale? Il governo dovrebbe dare finalmente una risposta alla domanda di giustizia che sale dal Paese e creare una organizzazione unitaria, una procura o un’agenzia nazionale che si occupi di reati ambientali e non solo. Ad esempio, la procura di Trani sta lavorando bene sulla tragedia ferroviaria di Corato, ma quanti binari a rischio ci sono in Italia? Per prevenire, le procure, vincolate al territorio, non sono sufficienti. Non sempre basta celebrare un processo per avere giustizia. Vero, se si riferisce al primo processo Eternit, conclusosi con la prescrizione, un esito che abbiamo evitato nel caso Thyssen solo perché abbiamo indagato in meno di tre mesi; e anche in quel caso è stato decisivo disporre di inquirenti specializzati. Eternit è finita com’è finita, peraltro, perché abbiamo seguito una prima interpretazione della Cassazione, secondo la quale il reato si consuma finché non cessa nel tempo, ma in seguito la Corte ha cambiato orientamento. Con l’inchiesta Eternit bis avete contestato il reato di omicidio, lo stesso che ha condotto alla condanna di De Benedetti. Non proprio lo stesso, visto che in quel caso si tratta di omicidio colposo, mentre noi abbiamo contestato l’omicidio con dolo diretto. La Corte Costituzionale permetterà che si celebri quel processo? Bisogna aspettare con profondo rispetto il suo pronunciamento sul ne bis in idem. È in discussione una norma del codice secondo cui, stando anche all’interpretazione della Cassazione, non saremmo di fronte a un “duplicato”, quindi io confido. Confido, ma rispetto. È una decisione importante: farà giurisprudenza e segnerà il futuro di tutti. Le vostre inchieste lo hanno segnato al punto di ispirare la riforma del codice penale che ha introdotto il reato di disastro ambientale. È un deterrente efficace? Non è dipeso tutto da noi, però, effettivamente, abbiamo dato la spinta finale. Quella riforma introduce pene severe ma non risolve tutto, perché, come avevo sottolineato durante il dibattito parlamentare, è ancora possibile la prescrizione, un problema grosso con disastri che si manifestano a distanza di decenni. Non crede che tutte queste difficoltà dipendano anche dal fatto che il mondo sta camminando in senso contrario alla sicurezza sul lavoro? Noi dobbiamo realizzare una globalizzazione della salute e della sicurezza: non accettare passivamente quella del rischio, che mi pare molto più arretrata, sul piano della civiltà. Le riforme del diritto del lavoro che stanno affermandosi in Europa ci rendono più o meno civili? Ci sono tante novità, ma il testo unico sulla sicurezza del lavoro resta il più avanzato al mondo. Il nostro problema non riguarda le leggi ma la loro applicazione. Poi è anche vero che in Francia, dove pure c’è la Eternit, non sono mai riusciti a celebrare un processo e ciò dipende forse anche dal fatto che il pubblico ministero in Italia non è subordinato al potere esecutivo: un altro motivo per ringraziare i nostri padri costituenti.
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