
Il sindacalista della Flai Cgil, Lahat Seye, nei campi dei braccianti ad Albenga
Nella Piana agricola di Albenga, Lahat Seye, un giovane sindacalista di origini senegalesi, sta diventando un ospite fisso. Gira a bordo della sua piccola auto e incontra i lavoratori stranieri, impegnati nelle serre e nei campi. «Quante ore lavori? Hai un contratto? Conosci i tuoi diritti?» ripete ai tanti che lo incontrano. In mano ha un pacchetto di volantini con orari, informazioni e servizi per chi voglia mettersi in regola.
«Hai visto come erano interessati? - dice -. Oggi erano tutti nuovi, non li avevo mai visti. Dieci giorni fa qui c’erano altri braccianti: le aziende li spostano dove hanno bisogno». L’importante è non farsi notare dai datori di lavoro, per non mettere in difficoltà i ragazzi stranieri. «Per trovarli, spesso devi arrivare la mattina presto, ma di solito scappano via... Oggi pomeriggio siamo stati fortunati. Non ho mai visto così tante donne» aggiunge. Alcuni dei braccianti sorridono, altri fanno un cenno e restano ad ascoltare. Un ragazzo che arriva dalBangladesh è contento di sapere che esiste qualcuno a cui rivolgersi per avere un pezzo di carta su cui scrivere orari e ricompensa, una giovane dell’Est Europa invece preferisce non parlare. La maggior parte si ferma, sente quel che dice Lahat e poi torna china sulla terra. «Fanno turni massacranti: 10 ore al posto delle 6 previste dai loro contratti truffa. Guardali: vengono spremuti come limoni».
Non c’è ombra di padrone adesso, «ma è possibile secondo te che queste piccole aziende familiari alla fine non riescano ad assumere nessuno?» si chiede Margherita Arleo, segretaria provinciale della Flai Cgil Savona, che ci accompagna tra serre e campi. A dominare, nella Piana come in città, non è solo la grande paura di questi braccianti di uscire dal buio dell’illegalità e denunciare. È la grande indifferenza che sembra circondarli: avviene tutto alla luce del sole, ma pare più conveniente chiudere occhio. «La situazione è grave, questi lavoratori ufficialmente non esistono e invece ci chiedono aiuto - spiega nel palazzo del Comune il sindaco di Albenga, Riccardo Tomatis -. Mi chiede se ci sono complicità da parte degli italiani? Complicità no, tolleranza sì». La tolleranza è innanzitutto un tetto, o un sottotetto, all’interno del quale le famiglie del posto sistemano persone che si alzeranno alla luce dell’alba. Sono alloggi di fortuna in cui si vive e si dorme in spazi ristretti e sovraffollati: garage oppure magazzini, in condizioni igieniche al limite. Basta ovviamente pagare chi affitta. Non nella stagione estiva, però, perché gli spazi vanno liberati per i turisti. Così alcuni di questi ragazzi ad agosto dormono in tenda, sulla spiaggia.
Di solito, gli invisibili si materializzano sulle strade, al mattino e alla sera. Si vedono partire dalla periferia diretti verso i campi, in bicicletta. «Intercettarli per noi è molto complicato» racconta Lahat, una volta raggiunta la sede del sindacato in centro. Il modo migliore «è andare fuori dalle scuole serali e attendere che finiscano le lezioni. Sono di fretta, è vero, a volte vogliono parlare e a volte hanno paura». È come se il loro datore di lavoro fosse sempre presente, «un’ombra che si allunga su questi ragazzi anche quando non c’è» aggiunge Margherita Arleo. Hanno grossi problemi con la lingua e, per chiedere il rispetto dei loro diritti, devono prima sapere comunicare. Alcuni di loro si trovano stretti nei meccanismi dell’accoglienza, un boomerang per diversi profughi: dopo 60 giorni nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, possono uscire e andare a lavorare come braccianti oppure operai edili. Sono incentivati a incassare soldi e buste paga in nero, perché a fronte di retribuzioni anche basse, sarebbero costretti a uscire dai centri. Arrivando con i decreti flussi, non hanno una carta d’identità e non possono aprire un conto corrente. «Per questo vengono da noi, a questo sportello». Il permesso di soggiorno dura al massimo nove mesi, nel frattempo i lavori stagionali non consentono a questi giovani migranti di mettersi in regola. «È un sistema che produce irregolarità su irregolarità, quello in cui siamo immersi. È iniziato tutto con la Bossi-Fini, è proseguito con i decreti Salvini e poi con i provvedimenti di questa legislatura: stiamo creando solo caos, clandestinità e ricattabilità sociale». Nel frattempo, ci sono le singole comunità che provano a riunirsi e a mobilitarsi, per uscire dal limbo e sfondare il muro dell’indifferenza e dell’omertà: i lavoratori del Mali, ad esempio, si trovano una volta al mese alla Camera del Lavoro di Savona, per condividere la loro condizione e fare fronte comune nelle rivendicazioni.
La storia di Lahat Seye è emblematica: giunto in Italia nel 2002 dal Senegal, partecipa a cortei e manifestazioni come quella storica del Circo Massimo. «Per gli altri non esistevo, poi ho incontrato un funzionario della Cgil del mio stesso Paese. Mi ha spiegato cosa voleva dire combattere per difendere la mia dignità, mi ha invitato a parlare su un palco davanti ad altri colleghi: io, che non ero nessuno». Oggi Lahat può dire di aver sperimentato che «il lavoro per uno straniero è una gabbia, è il sistema stesso a creare schiavitù». Visto dai sindacati, c’è come un cerchio invisibile tracciato dai datori di lavoro, creato ad arte dalle piccole aziende familiari italiane, una bolla che imprigiona il lavoratore straniero appena arrivato, tra obblighi contrattuali firmati sull’acqua e stringenti necessità di vedersi riconosciuti percorsi fatti e documenti. In realtà, il sindaco di Albenga difende l’operato delle categorie dei rappresentanti agricoli, dalla Coldiretti alla Cia, fino a Confagricoltura, che nelle occasioni di confronto a livello locale e istituzionale hanno mostrato «interesse e sensibilità - dice Tomatis - per la manodopera specializzata che ricevono, che va tutelata».
Il tema degli sfruttati, con una certa cautela, è messo nero su bianco anche nel “Piano locale di contrasto allo sfruttamento lavorativo e al caporalato in agricoltura” redatto dall’amministrazione locale per il periodo 2023-2026. «Non si sono ad oggi registrati fenomeni di caporalato sul territorio e i fenomeni di sfruttamento sono stati rari» si scrive nelle 56 pagine del documento, presentato anche in sede nazionale per poter ricevere i fondi del Pnrr. «Allo stato attuale - prosegue il testo - nell’ambito delle politiche lavorative rivolte ai cittadini stranieri, gli interventi più urgenti riguardano la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e quindi la promozione presso i lavoratori di un’adeguata formazione».
Intanto negli uffici del sindacato di Savona, il telefono continua a suonare. «Ultimamente stiamo registrando un flusso enorme di badanti che vogliono mettersi in regola. Non ci sono solo gli invisibili del ghetto o gli stagionali. Ci sono tante persone che non sono qui per caso: hanno scelto l’Italia, come ho fatto io più di vent’anni fa - dice Lahat -. Non possiamo consegnarle a un futuro di clandestinità».