Un rilancio culturale della sanità. Prenderci cura, un atto politico
mercoledì 17 gennaio 2024

Il Sistema sanitario nazionale rimane un vanto del nostro Paese a livello mondiale ma ha l’urgenza di essere rivisitato. Esiste una fascia di popolazione povera di salute. Penso per esempio alle disabilità psichiche soprattutto nei giovani a cui non si sta rispondendo, o all’aumento degli anziani con le loro inevitabili patologie, o alle malattie degenerative cronicizzate. Ci sono poi molte persone che non riescono a curarsi perché persino il pagamento di un ticket può costituire un problema; altri ancora hanno difficoltà di accesso ai servizi, o subire lunghe liste d’attesa. Nello stesso tempo esiste una ricerca scientifica che ha fatto passi da gigante con una nuova diagnostica e nuove terapie.

Certo occorre essere sostenibili, occorrono risorse ingenti nel campo sanitario. Tuttavia la nostra urgenza è più di natura culturale che finanziaria, occorre puntare su un modello organizzativo che scommetta sulla medicina di prossimità e sui territori come luoghi di relazione di cura come è stato in passato. La nuova sanità dovrà essere presente sul territorio in un modo nuovo, meglio organizzato e integrata con i percorsi, i servizi e le competenze delle strutture ospedaliere. Altrimenti l’ebbrezza del solo privato e la negazione della prossimità di cura rischiano di trasformare la medicina in un privilegio per pochi e non un servizio per tutti.

Una politica responsabile ha il compito di prevenire come ha fatto Tina Anselmi, la prima donna ministro della Salute, quando nel 1978 si è battuta per il Servizio sanitario nazionale che permette a tutti di curarsi. È per scelte fondate sulla solidarietà che in Italia un vaccino o un esame medico è a carico dello Stato.

Sono troppi gli egoismi che non permettono oggi di raggiungere questi traguardi, ma noi non possiamo arrenderci. Vale anzitutto per i giovani: condividete il sapere come un dono, non possedetelo come qualcosa di sterile che vi rende soli e spesso anche tristi. Sono stata testimone di grandi esempi. Come quello di un giovane ricercatore, con cui mi ero scusata per non riuscire a remunerarlo meglio: «Si ricordi – mi rispose - che dietro questa provetta io vedo sempre un bambino». Ho assistito alla grande disponibilità di medici che si prestano a fare interventi pesantissimi, anche a notte fonda, e a volte vengono chiamati senza essere di guardia. Non mi è mai capitato di sentirmi dire «non posso», c’è sempre una risposta positiva. Questo mi colpisce, non è comune.

Lungo gli anni ho visto il ruolo del medico cambiare. Quando ho iniziato a occuparmi di sanità, la cultura gli riconosceva un carattere di sacralità e di paternità. Oggi l’autonomia del paziente è la vera grande conquista dell’etica medica. Rischia, però, di ridurre il rapporto medico-paziente a un rapporto tecnico e freddo. La sfida per l’università è quella di formare medici e operatori sanitari che siano grandi esperti di umanità a partire dalle loro professionalità.

Bisogna ricordare che non sempre l’attenzione alla persona cresce con la tecnicizzazione della medicina, che è sempre più concentrata sull’azione tecnica del «curare» la malattia senza un approccio olistico alla persona. Questo non può bastare. Occorre investire sul «prendersi cura» anche del mondo affettivo, relazionale, psicologico e spirituale del paziente. Non è solo un atto di carità ma è “atto politico” che permette di prendersi cura delle fragilità, dell’ambiente, del benessere economico, della giustizia e della vita che rimane il dono più grande da onorare in ogni sua manifestazione.

La cura è un cammino, è un confine e si deve spingere fino al curare gli incurabili, per questo è come un delicato un vaso di cristallo. La via da percorrere ha una direzione unica: creare rete nel territorio tra pubblico, privato sociale, privato convenzionato, imprese sociali del terzo settore e volontariato competente. È attraverso un’alleanza di cura che potremo vincere questa silenziosa sfida.

È cambiato il contesto sociale e politico, ma l’articolo 32 della Costituzione, che regola la salute, custodisce il fine dell’azione sanitaria che è occuparsi della salute – dal latino salus –, che è la salvezza integrale dell’ammalato. La visione di salvezza integrale della persona era stata sostenuta da Aldo Moro che nel dibattito della Costituente ci ha ricordato come la salute non si riduce a un facere o non facere, a un’attività giuridica o materiale, ma è un valore del soggetto che l’ordinamento è chiamato a tutelare.
È questa l’eredità che nel piccolo ho cercato di testimoniare. Vorrei piantare ancora alcuni piccoli semi e poi affidarli a voi giovani perché li facciate crescere e li rendiate generativi in una comunità di vita e di scopo dove la scienza è sempre al servizio della persona e ciascuno di noi è un dono per l’altro.

Questo discorso è stato pronunciato ieri a Vercelli, in occasione della laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia conferita a Mariella Enoc dall’Università del Piemonte orientale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella



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