sabato 18 marzo 2017
No a nuove leggi e sì a sanzioni contro la maternità surrogata. Femministe, movimenti gay e ambientalisti si sono ritrovati a Milano per rilanciare il «no»
Un fronte contro l'utero in affitto
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Dopo Parigi 2016, Roma 2017: se l’Assemblea nazionale francese il 2 febbraio dello scorso anno aveva ospitato le prime assise mondiali per la messa al bando della maternità surrogata, Roma accoglierà giovedì 23 marzo una nuova tappa della campagna globale contro l’utero in affitto. L’iniziativa è organizzata dalla rete laica di donne (e non solo) «Se non ora quando-libere» che nel 2016 promosse un manifesto per fermare un fenomeno al quale alcuni tribunali italiani sembrano aver rinunciato a mettere un freno disapplicando il divieto della legge 40. L’iniziativa romana «Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata. Una sfida mondiale», alla Camera dei deputati, reca l’interessante lettura femminista di molte animatrici: «La conquista della libertà di scelta – spiegano – è stato un cambiamento di enorme portata che consente alla maternità, tuttora confinata nell’ambito domestico e socialmente marginale, di giungere al centro della vita sociale e di ridisegnare i confini di una nuova idea di libertà. Ma a condizione che non venga privata del suo senso umano e che non venga ridotta alla bruta materialità biologica. Come accade invece nella pratica della maternità surrogata». Oggi intanto sempre a Roma l’Udi – storica associazione di donne di sinistra – organizza una giornata nazionale di studio proprio sulla surrogazione di maternità.

Il «no senza se e senza ma» alla maternità surrogata (o per meglio dire all’utero in affitto) può suonare stranamente autoritario, se a proclamarlo è un ampio fronte trasversale che, accanto al mondo cattolico, trova schierate le femministe, le donne lesbiche, i gay, i movimenti ambientalisti e perfino quelli anarchici, ovvero chi dell’autodeterminazione ha sempre fatto la propria bandiera. Ma la contraddizione è solo apparente: «Vietare la maternità surrogata non è un divieto, al contrario, è affermare un diritto positivo che fa bene a tutti, cioè che il corpo delle donne non può essere oggetto di commercio». Talmente ovvio da essere lapalissiano, ma bene ha fatto a chiarirlo Silvia Niccolai, costituzionalista dell’università di Cagliari, intervenendo l’altra sera a Milano all’affollato evento organizzato da Rua (Resistenza all’utero in affitto), rete trasversale e delle più diverse appartenenze contro la gpa (gravidanza per altri). Titolo: “Il mercato della gravidanza non è un diritto. È ancora possibile sottrarre la nascita al business?”. Sede: la Casa dei Diritti di via De Amicis che, a dispetto del nome, nei giorni scorsi si è dovuta difendere dai feroci attacchi di frange legate al mondo “arcobaleno”, contrarie alla libertà di parola. «C’è un regime di pensiero», ha detto Aurelio Mancuso, presidente gay di Equality Italia, «o sei d’accordo con quella roba lì, o sei un traditore». «Il business della gpa, che pure è un reato, è così potente che ci sentiamo dei sovversivi – ha esordito la giornalista e scrittrice Marina Terragni, storica «femminista della differenza » –. In realtà difendiamo una legge dello Stato, che vige anche in Svezia, Norvegia, Francia, nella maggioranza dei Paesi. Addolora vedere che antichi compagni di viaggio sui diritti umani, su questa vicenda non siano capaci di dire qualcosa».

Se infatti la politica non è un cuor di leone e balbetta, tra ignoranza dei fatti e paura di sembrare antiquata, sia il femminismo che il mondo Lgbt sono spaccati al loro interno, con le lesbiche più decise a difendere la donna dallo sfruttamento e i gay in buona parte favorevoli all’utilizzo della sua maternità in nome di un presunto «diritto alla genitorialità» a proprio vantaggio. «Intanto i casi si moltiplicano, tra chi come il cantante Tiziano Ferro annuncia in anticipo che comprerà un bambino all’estero, e chi è già tornato in Italia con il bimbo comprato, e a cose fatte qualche giudice legittima il reato… Il tutto nel silenzio Lgbt, che noi interpretiamo come la paura di sembrare di destra, o cattolici integralisti, o omofobi», ha spiegato Stella Zaltieri Pirola, esponente delle donne lesbiche: «Noi certo non neghiamo una genitorialità gay, ma non mercificando il corpo della donna e quello del neonato». Già, perché spesso ci si dimentica di lui, del “prodotto”, quel bambino che viene progettato, ordinato su catalogo e venduto dietro compenso. Addirittura - questa è l’ultimo comfort - consegnato a domicilio, come avverrà per i due gemelli ordinati dal calciatore Cristiano Ronaldo. O persino rateizzato, visto che il colossale giro d’affari ha attirato le finanziarie, pronte a prestar soldi per l’acquisto del neonato. Che cosa sia la gpa è noto, non occorre più dibattere su un agghiacciante mix di schiavitù, sfruttamento, eugenetica e razzismo (se il grembo affittato è spesso nero, l’ovulo è candido e ariano), «siamo qui invece per individuare gli strumenti utili a fermarla - ha ricordato Marina Terragni -: la pratica è in aumento vertiginoso e vede una importante crescita percentuale delle coppie gay che vi fanno ricorso, anche se la maggioranza resta eterosessuale».

Gli strumenti, dunque. Primo, rimuovere le cause dell’infertilità, «un tema che non si affronta mai». Due: rimettere mano al concetto di interesse superiore del minore, «visto che secondo certe sentenze l’interesse del bimbo è che gli sia negata la madre ». Tre: ripensare il mondo delle adozioni, «anche per togliere un alibi ai gay che chiedono l’utero in affitto dicendo che non possono adottare», come ha sottolineato Mancuso. Ma soprattutto sanzionare, perché nessuna legge funziona se non c’è una pena: «Quando alla frontiera si presentano due cosiddetti padri o una coppia eterosessuale con un bambino comprato, paghino una sanzione dieci volte superiore a quanto dato ai trafficanti», è la ferma proposta del fronte Rua. Unanime anche nel dire no a nuove leggi: «Ovunque si sia normata la gpa, creando regolamenti che la limitassero, è stato peggio», ha avvertito Daniela Danna, sociologa dell’università di Milano. «Tutti i limiti vengono sfidati e i tribunali allargano le maglie: la realtà dimostra che chi ha il contante può tutto». Non solo: «Il mercato globalizzato porta al ribasso. Alla fine si va dove costa meno e ci sono meno tutele per le madri». L’unica via dunque è che l’utero in affitto sia reato universale, come la pedofilia, ovvero perseguibile anche se perpetrato all’estero. Netta anche Silvia Guerini, del Collettivo ecologista radicale Nanomondo: «Regolamentare qualcosa vuol dire già che è avvenuto». A chiudere Terragni: «Anche se la gpa fosse gratis (e non lo è mai), io non posso regalare mio figlio perché non è mio. La vita di un altro è indisponibile». E Niccolai: «Le sentenze che legittimano la gpa già avvenuta, come nel caso assurdo di Trento, parlano di “progetto di genitorialità”. Ma quando penso a un essere umano deve esserci un progetto? La nascita è l’erompere dell’imprevedibile. Nascere in uno studio notarile è contrario a una cultura che è rinata dopo i campi di sterminio. Siamo tutti figli della libertà di nascere».

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