venerdì 22 novembre 2013
Alberto Varone disse no ai boss.Per lui un film. Un delitto dimenticato che grazie a familiari e giovani sta diventando un esempio per tanti.
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Alberto Varone era un piccolo commerciante di Sessa Aurunca, nel casertano. Papà di cinque figli, gran lavoratore. Onesto e impegnato. Tutte le domeniche come volontario della "buona stampa" distribuiva le copie di Avvenire. Persona buona, ma ferma. Troppo per la camorra che voleva impossessarsi della sua attività. Così al suo netto «no» in faccia al boss Mario Esposito, il clan reagì con spietata violenza. Era la notte del 24 luglio 1991 e alcuni colpi di fucile fermarono la sua vita. Una storia dimentica, come spesso accade alle vittime delle mafie. Il paese si chiude nel silenzio. Non la moglie che con l’aiuto dei vescovi Superbo e Nogaro prende forza e decide di denunciare gli assassini. Una scelta netta che vuol dire cambiare città, vita, nome, sotto protezione dello Stato. Ma non lascia il marito, scegliendo di portare la salma con sé.Così di Alberto non resta più nulla nel suo paese. Ancora oggi se ne parla a bassa voce. Lo hanno fatto, invece, dei giovani venuti dal Nord. Gli scout del clan Jonathan Linvingston di San Damiano d’Asti. Nell’estate del 2012, come migliaia di giovani, hanno scelto di dedicare parte delle vacanze ad un impegno concreto, con la cooperativa sociale "Al di là dei sogni" che opera, con persone svantaggiate, in un bene confiscato a Sessa e intitolato proprio a Varone. «Una settimana di emozioni che ci ha cambiato – spiegano – ma non volevamo che fosse un fatto chiuso». Nasce così l’idea di un cortometraggio su Alberto. «Un gesto di unione che abbiamo voluto fare tra il nostro paese e Sessa. Una storia lontana raccontata da molto vicino».Un piccola-grande impresa, sostenuta dal comune astigiano e dal Comitato don Peppe Diana, presentata ieri al ministero dell’Interno. Immagini semplici ma ben curate. «Il vostro è un investimento a fecondità ripetuta», dice il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, proponendo di «diffondere il cortometraggio nelle scuole», perché da questa storia «emerge la ricchezza di valori e impegno che dobbiamo mettere in campo contro le mafie», ma anche «l’estremo valore dell’associazionismo». Un impegno netto, aggiunge, «affinché quel dolore non debba più appartenere a nessuno». Una riflessione che fa anche la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi. «L’Italia è il Paese delle mafie ma anche il Paese della lotta alle mafie. E questo è un esempio della grande testimonianza dell’associazionismo. Ma ci vuole più collaborazione tra istituzioni e società civile. Tocca a noi politici sostenere queste iniziative anche con interventi legislativi perché la mafia ha cambiato pelle, ha metodi più sofisticati e convenienti, non più solo la violenza». Quella violenza che volle bloccare Alberto Varone. E che ancora si sente.«È lungo il cammino, è duro – dice il presidente della cooperativa, Simmaco Perillo –, sembra di parlare a chi non vuol sentire. Ma ora la storia di Varone sta diventando di tutti». Il corto si chiude con le parole della moglie che si rivolge ad Alberto: «Io e te non siamo altro che vita, pronti a rinascere come "fiori dal cemento"». E questo è proprio il titolo del corto e della canzone di Luca Fiore, colonna sonora del film. «Potremo farlo avere alla signora?», chiede Simmaco a Bubbico. «Non so dove sia ma so in quale "buca delle lettere" metterlo», risponde il viceministro. Sarebbe davvero bello. Un regalo ad Alberto «che scelse di restare libero e morì per la nostra libertà».
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