sabato 12 giugno 2010
Alla "santona", arrestata con il marito, viene contestato anche l’esercizio abusivo della professione medica. In manette altre 14 persone. Più volte il vescovo Bianchi aveva messo in guardia dal frequentare la donna ricordando che non aveva alcun sostegno ecclesiale.
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Appena un mese fa erano stati sentiti nel tribunale di Pistoia venti testimoni che avevano raccontato il loro calvario fatto di rituali e pseudo-guarigioni a cui «Mamma Ebe» li sottoponeva. Erano le «vittime» della santona di Carpineta che a Forlì era già stata condannata a sette anni di carcere per aver messo in piedi un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’esercizio abusivo della professione medica.Sono gli stessi reati che ieri l’hanno portata di nuovo in carcere. Ad arrestarla i carabinieri di Pistoia insieme ai colleghi di Quarrata, il territorio dove Mamma Ebe, al secolo Gigliola «Ebe» Giorgini, è tornata a rifugiarsi dopo essere stata costretta a lasciare la Toscana. In manette sono finiti anche il marito della donna, Gabriele Casotto, pure lui imputato nel procedimento in corso a Pistoia, e uno stretto collaboratore della donna. Secondo gli investigatori, la “santona” - che oggi ha 76 anni - sarebbe di nuovo la grande burattinaia di un «sodalizio criminale» che aveva come punto di riferimento l’«Opera di Gesù Misericordioso» fondata proprio dalla Giorgini. Altri quattordici provvedimenti cautelari sono notificati dai carabinieri ad adepti e «colleghi» della finta guaritrice. Perquisizioni sono avvenute nelle ville e nelle abitazioni di Mamma Ebe. Un patrimonio immobiliare che gli investigatori definiscono rilevante e che in parte è stato sequestrato.A fare da sfondo ancora una volta il Montalbano passato alle cronache come la «terra di Mamma Ebe». Una definizione che non era sfuggita all’attuale vescovo di Pistoia, Mansueto Bianchi, quando era arrivato nella diocesi toscana. Fra le prime dichiarazioni che avevano segnano l’inizio del suo ministero episcopale nel Pistioese ce n’era una del 2007 con cui metteva in guardia la comunità ecclesiale dalla santona. «Come vescovo sconsiglio vivamente qualunque persona di rivolgersi a Mamma Ebe e di darle credito: ribadisco che né Mamma Ebe né le associazioni da essa fondate, animate, sostenute hanno riconoscimento alcuno di tipo ecclesiale». Poi avvertiva che «ogni persona, in particolare le persone più fragili e più deboli, debbano prestare doverosa cautela» evitando di rivolgersi a guaritori che usano, a copertura delle loro attività, i nomi di Cristo e della Vergine. Un richiamo che il presule aveva lanciato non appena si era imbattuto nel flusso ininterrotto di «fedeli» che ogni giorno transitavano per la casa dove la Giorgini e i suoi collaboratori tirano le fila del finto ordine religioso creato dalla donna. Quell’«ordine» portato sul grande schermo dal regista Carlo Lizzani con un film del 1985 in cui si descrivevano gli abusi che, attraverso trattamenti medici e riti sacri, i malati subivano.Una «devozione» che non era venuta meno né dopo le inchieste degli anni Ottanta, né dopo l’arresto del 2002 a Cesena e del 2004 a San Baronto di Pistoia. La sentenza di primo grado scritta dal tribunale di Forlì è arrivata nell’aprile 2008. In Toscana, invece, le udienze proseguono: la prossima è fissata a ottobre e molti degli imputati sono gli stessi entrati nelle indagini della polizia di Cesena.
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