domenica 10 gennaio 2010
Oltre 10mila edifici abusivi, ci sono perfino ospedali sorti sulle conche laviche: la speculazione edilizia non si è fermata neppure davanti all'incubo della lava.
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Cemento vista vulcano. Non si è esitato a costruire laddove la logica e il buon senso l’avreb­bero sconsigliato, né si è evitato di ri­correre a bonari, e ben tassati, con­doni. Il silenzio del Vesuvio dal 1944 ha incrementato, a partire dagli an­ni Cinquanta, la cementificazione in tutta l’area del vulcano. Palazzine e villette, alberghi e ristoranti affonda­no le fondamenta sulla falda trabal­lante del Vesuvio, gli ospedali sorgo­no sulle conche laviche, la vita bruli­ca sulle vie di lava scavate nei secoli dalle eruzioni. Abusivismo cronico eppure, predicano i vulcanologi, non esiste al mondo una località a più al­to rischio vulcanico considerando l’abnorme concentrazione edilizia spintasi fino a poche centinaia di me­tri dal cratere. Nessuna via di fuga. Ma la paura non è emozione propria di questa zona: qui a costruire sono i privati, i Co­muni e lo Stato, tanto prima o poi il perdono edilizio arriva per sé e per tutti gli altri. L’abbattimento, invece, non arriva mai, perché è troppo lun­go e costoso. Legambiente lo denun­cia, la camorra del cemento si arric­chisce. Laborioso fare anche un cen­simento degli edifici abusivi, 7mila, più probabile oltre i 10mila: cinque volte in più di quelli condonati negli ultimi dieci anni. Gli stessi diciotto Comuni vesuviani hanno perso il conto nonostante l’aumento della popolazione. Sopra e intorno al Ve­suvio le case abusive hanno ostruito finanche le cosiddette vie di fuga in­dividuate in caso di eruzione. Non si è vigilato, non si impedisce, non si previene. Impreparazione ed incon­sapevolezza sembrano caratterizza­re il rapporto con il Vesuvio e con il pericolo di un’eruzione. La Protezio­ne civile ha preparato un piano di fu-ga nel 2005, che divide l’area vesu­viana in tre zone: la rossa, immedia­tamente circostante il vulcano (18 Comuni e 600mila abitanti); la gial­la, area che potrebbe essere interes­sata dalla ricaduta di ceneri e lapilli (96 Comuni delle province di Napo­li, Avellino, Benevento e Salerno e 1.100.000 abitanti); la blu, che ricade all’interno della zona gialla, ma è sog­getta ad un agente di pericolosità ul­teriore: corrisponde infatti alla «con­ca di Nola» che, per le sue caratteri­stiche idrogeologiche, potrebbe es­sere soggetta a inondazioni e allu­vioni, oltre che alla ricaduta di cene­ri e lapilli (14 Comuni della provincia di Napoli e 180mila abitanti). Le vie di fuga si rivelano però inadeguate, come la Statale 268, una delle strade a più alto rischio di mortalità. L’uni­co tentativo di decongestionare un territorio sovrapopolato è stato mes­so in atto cinque anni fa dalle istitu­zioni. Il progetto si chiamava «Vesu­via ». La Regione dava 25mila euro per ac­quistare casa fuori dalla zona rossa e prevedeva entro il 2013 una nuova si­stemazione per 61mila persone: me­no di 5mila hanno deciso di cambia­re area e in 9 dei 18 Comuni la popo­lazione è aumentata. «Il vero dram­ma è che siamo senza un piano pre­ciso – dice angosciato Ciro Borriello, sindaco di Torre del Greco, uno dei Comuni nella zona rossa –. Qui si ri­schia di morire tutti». Prigionieri volontari del vulcano. E gli abusi sul Vesuvio non si limitano all’edilizia, si va dallo scavo illegale di cave non autorizzate per l’aspor­to di sabbia, pietrisco e pietra lavica, agli sbancamenti e movimenti di ter­ra (attività già di per sé vietata ma che spesso è il preludio di altre attività a­busive) alle discariche di materiali tossici o edili (ma a Terzigno, in pie­no Parco del Vesuvio c’è una discari­ca legale e un’altra si sta allestendo, secondo la legge anticrisi del 2008, sotto l’egida dell’allora sottosegreta­rio all’emergen­za rifiuti in Campania). Ora si cerca, per quel che è possibile, di rimediare al­meno agli scempi edilizi. Lo scorso feb­braio la Regione Campania e l’ente Parco Ve­suvio hanno fir­mato un proto­collo d’intesa per il contrasto all’a­busivismo edilizio. L’intesa prevede un programma di demolizione ogni sei mesi. Scovare gli abusi è facile, e­liminarli resta il il vero problema. La Regione ha proposto invano incentivi perché si abbandonasse la casa sul vulcano: nella metà dei Comuni della zona la popolazione alla fine è aumentata
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