sabato 4 novembre 2023
Due ragazze tigrine e un adolescente picchiati e seviziati dalle organizzazioni dei trafficanti di uomini: i filmati attraverso la rete di familiari e conoscenti sono arrivati a “Refugees in Libya”
Torture sui profughi nei campi libici, in un video le nuove denunce delle Ong
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Due ragazze tigrine e un adolescente, picchiati e seviziati dalle organizzazioni dei trafficanti di uomini in Libia. Le immagini ricevute dai familiari sono quelle di sempre. Le donne vengono spogliate e colpite decine di volte sulla schiena con un pesante tubo di gomma. Non sappiamo cos’altro gli succederà. Il minorenne viene inquadrato dal telefono del torturatore prima di venire picchiato. Al collo una croce di legno, quella dei cristiani del Corno d’Africa. Parla nel suo dialetto. Implorano pietà e denaro per la propria libertà. Il ragazzino, Kidaneh Zemichael Kidane, a un certo punto indica una presa elettrica, e spiega cosa gli hanno fatto e cos’altro stanno per fargli.

I filmati attraverso la rete di familiari e conoscenti sono arrivati a “Refugees in Libya”. Il 2 novembre sarebbero stati girati i video delle torture sulle donne, tre giorni prima quello del minorenne. Luam Addis Beyene, la prima nel filmato, è nata a Shire Inda Selassie, che significa “Casa della Trinità”, un centro abitato nella regione del Tigray, in Etiopia. Come migliaia di altri è scappata dal conflitto con l’Eritrea. «Abbiamo pagato 8.000 dollari per arrivare in Libia, ma siamo stati catturati dai ladri sulla strada per il mare e ci hanno messo in un magazzino a Bani Walid per la seconda volta e ora stiamo soffrendo di fame e bastonate notte e giorno». Poi implora chiunque ascolti il suo appello: «Per favore, fratelli e sorelle, questi 12.000 dollari che ci hanno detto di pagare sono al di là delle nostre possibilità». Poco dopo toccherà a Mercy Zeru Debas, anche lei spogliata e bastonata. Di entrambe ci sono giunte le foto in primo piano scattate quando si trovavano nei loro villaggi. Truccate e in posa come ogni lora coetanea, mesi dopo vediamo invece la schiena coperta di cicatrici e lividi. Sentiamo appena i loro lamenti, e più trattengono il dolore più l’aguzzino colpisce forte.

Un anno fa l’Ufficio Onu per i diritti umani aveva indicato la zona di Bani Walid e le prigioni dei migranti, come «centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale” del governo di Tripoli, aggiungendo che “vi sono ragionevoli motivi per ritenere che i migranti siano stati ridotti in schiavitù». In particolare era stato rilevato che «la schiavitù sessuale è commessa a Sabratah e Bani Walid». Da allora nulla è cambiato. Gli attivisti di “Refugee Libya” hanno contattato le autorità di Tripoli perché soccorrano i profughi torturati e hanno trasmesso alla polizia anche i filmati. «Ma fino ad ora - spiegano - nessuno ci ha risposto». Nel terzo video, l'adolescenter parla in dialetto e, come hanno confermato fonti di "Avvenire", racconta di essere prigioniero in Libia da 4 mesi. Dice di essere stato ridotto alla fame. Il suo aspetto lo conferma, mentre a mani giunte tenendo la piccola croce, dice che carcerieri chiedono 7.500 dollari per liberarlo. Poi porta la mano a un presa elettrica, lasciando intendere quale genere di torture deve subire.

L’area di Bani Walid è sotto il controllo della “Brigata 444”, ufficialmente sotto l'autorità del Ministro della Difesa. I trafficanti di uomini, grazie alle coperture e alle connessioni dirette con le autorità centrali, nell’area continuano a macchiarsi dei peggiori crimini. Come aveva rivelato un’inchiesta di Avvenire firmata da Paolo Lambruschi, diversi profughi sono stati usati per dalla rete internazionale di trafficanti per il mercato degli organi umani.

Nel rapporto degli ispettori Onu approvato due settimane fa dal Consiglio di sicurezza, si legge che «il gruppo di esperti ha individuato diciannove sedi di centri operativi gestiti da reti di trafficanti di esseri umani e di migranti nel sud, nell'ovest e nell'est della Libia: Ajaylat, Ajdabiya, Al-Khums, Bani Walid, Bardiyah, Bengasi, Kufra, Misrata, Musaid, Sabrathah, deserto di Shuwayrif, Sirte, Tazirbu, Tripoli, Tajoura, Tobruk, Umm-Sa'ad, Zawiyah e Zuwarah». I campi di raccolta e detenzione sono stati utilizzati come «punti di coordinamento da cui i leader della rete coordinano le fasi operative della tratta utilizzando elementi della rete in diverse località all'interno e all'esterno della Libia», ma sono anche «basi logistiche in cui gli autisti cambiava i veicoli di trasporto necessari per proseguire il viaggio». In generale si tatta di «luoghi di detenzione a breve e lungo termine in cui i migranti vengono illegalmente privati della libertà e sottoposti ad atti di tortura e altri maltrattamenti a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, estorsione di denaro e/o controllo disciplinare sui detenuti».

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