venerdì 3 aprile 2015
Nella falda dell'ex discarica campana "Lo Uttaro" trovate tracce di veleni radioattivi. La Regione ha disposto accertamenti e vietato l'utilizzo dell'acqua. VAI AL DOSSIER
COMMENTA E CONDIVIDI
Dovevi mettertela anche prima, la mascherina, pur sapendo che serve a poco e che cammini su rifiuti tossici interrati a migliaia di tonnellate. Ma adesso c’è un’altra paura. Adesso sono state trovate anche «tracce di trizio», un isotopo radioattivo dell’idrogeno, nella falda acquifera sotto l’ex discarica “Lo Uttaro”, lembo di terra al centro del quadrilatero fra Caserta, San Nicola La Strada, Maddaloni e San Marco Evangelista. Cioè Terra dei fuochi. La Regione ha subito disposto nuove analisi e ricordato come, da tempo, esista il divieto di qualsiasi uso di quest’acqua (almeno sulla carta). Dopo che l’Agenzia regionale campana per l’ambiente (Arpac) ha validato, con una relazione di diciannove pagine, i risultati degli esami di suolo e acque effettuati dalla Sogesid. Le tracce di trizio «probabilmente stanno a dimostrare un inquinamento della falda derivante da percolato», ha detto subito l’assessore campano all’Ambiente, Giovanni Romano: «Quest’area nel passato è stata interessata da depositi di rifiuti non sempre solo urbani, ma anche speciali, cioè provenienti da filiere produttive, che potrebbero aver contaminato le falde». I nuovi esami partiranno fra tre settimane. Intanto questo posto adesso sembra ancor più spettrale di quanto già non fosse finora. I capannoni abbandonati qui e là, la vegetazione incolta, a tratti odore nauseabondo che arriva fin dentro lo stomaco, e, recintata, la parte alta, rossa, dei piezometri affondati nel terreno per analizzare le acque. «Bisognerà prima di tutto mettere in sicurezza d’emergenza l’intera area – avvisa l’assessore Romano – perché se le analisi venissero confermate, si comprenderebbe che non c’è un livello sufficiente d’isolamento sull’area di “Lo Uttaro” rispetto all’acqua che c’è sotto ». In seguito dovrà esserci prima una messa in sicurezza definitiva, per “sigillare” il terreno ed evitare ogni altra contaminazione, poi la rimozione infine dei rifiuti. Ma ci vorrà tempo e serviranno soldi, molti. A proposito, le analisi raccontano che la falda acquifera risulta interessata da una «diffusa contaminazione» anche di ferro, manganese e arsenico, e i valori sono superiori alle soglie di normalità anche per i Pcb, antimonio e nichel. L’Arpac fa tre ipotesi sulle cause della contaminazione: percolato proveniente dalla discarica e/o dai siti di stoccaggio provvisorio, l’interramento abusivo di rifiuti speciali in altri siti non indagati («Basti pensare – si legge nella relazione – che nell’area sono presenti diverse ex cave di tufo, alcune delle quali sono state riempite con materiali di riporto e rifiuti e scarti di lavorazioni siderurgiche, metallurgiche, galvaniche, di vetro o ceramiche, d’industria chimica, etc») oppure «le caratteristiche idrogeologiche della falda (falda confinata - condizioni riducenti ovvero scarsità e/o assenza di ossigeno, condizioni che favoriscono la solubilizzazione dei composti del ferro e del manganese nelle acque sotterranee». Morale complessiva dell’Arpac? «La caratterizzazione dell’area Lo Uttaro necessita di ulteriori approfondimenti ». Sarebbe a dire, fra l’altro, «ulteriori sondaggi fino alla profondità di almeno sette metri dal piano campagna », estensione delle indagini «sulle acque sotterranee, all’esterno del sito caratterizzato, anche su pozzi e piezometri già esistenti», nuovi prelievi di «campioni di acqua sotterranea sui quali effettuare determinazioni isotopiche». Tutto questo, però - si legge ancora - dopo «l’adozione, nel più breve tempo possibile, di tutti gli interventi finalizzati alla messa in sicurezza d’emergenza in relazione alla contaminazione riscontrata nella falda idrica sotterranea».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: