lunedì 6 febbraio 2017
Gli intrecci fra Stato, industria e camorra. Il numero due della Dna, Pennisi. Il generale Costa, l'Istituto superiore di Sanità, le condanne al processo Resit, l'oncologo Giordano e molto altro
Terra dei fuochi, il biocidio

L’ultima rivelazione è di qualche giorno fa. Ciro Gaudino, camorrista pentito, ha raccontato in un processo che «al momento del mio arresto ho fatto fare anche ritrovamenti di rifiuti tossici interrati, quelli della camorra», nel Parco nazionale del Vesuvio. Un racconto che arriva sei mesi dopo l’ultimo sequestro di una cava nell’ercolanese dalla quale sono saltati fuori 400mila metri cubi di rifiuti tossici e pericolosi.

Ma la storia è lunga, assai lunga. «Stiamo parlando delle zone a sud di Caserta e nord di Napoli: terre devastate, devastate dal punto di vista ambientale»: era il 17 giugno del 2013 e il generale Sergio Costa comandava l’allora Corpo forestale dello Stato, ne aveva scavate e viste già tante e le sue parole pesarono come macigni.

Dei rifiuti tossici avevamo già saputo tutto quel che avevano raccontato i pentiti di camorra e quanto aveva scoperto il poliziotto Roberto Mancini (poi ucciso anche lui dalla leucemia…) e raccolto nella sua informativa datata 12 dicembre 1996, che venne “sepolta” quattordici anni in un armadio della Dda di Napoli, ma che poi servì al pm Alessandro Milita per istruire il processo e far condannare (lo scorso 19 luglio in primo grado) a vent’anni Cipriano Chianese, che lo stesso Mancini definiva «il broker dei rifiuti».

Via via in questi anni ci sono stati tanti scavi che hanno riportato alla luce tonnellate e tonnellate di rifiuti pericolosi (resta famoso quel bidone ormai accartocciato e arrugginito, ma ancora con la scritta “Montedison” disseppellito a Ercolano). C’è stata una legge sugli ecoreati. Ci sono stati molti attivisti che hanno deciso di combattere traffico e sversamento di rifiuti tossici. Ma non troppo ancora è cambiato. Si muore ancora e sempre. E ancora e sempre i negazionisti ogni tanto battono un colpo. Eppure il primo esperto con incarichi istituzionali a venire allo scoperto fu l’allora direttore dell’'Istituto nazionale tumori “Pascale” di Napoli, il 14 aprile del 2014: «Da parte della comunità scientifica si è sposato un atteggiamento negazionista che di
scientifico non ha nulla. È solo volontà di quieto vivere», spiegò Antonio Pedicini.

La parola definitiva arrivò il gennaio del 2016: nella Terra dei fuochi si muore di più anche per «l’esposizione a un insieme di inquinanti ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e/o di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani», come scrisse l’Istituto superiore di Sanità. Non solo, «il quadro epidemiologico della popolazione residente studiata» risulta caratterizzato «da una serie di eccessi della mortalità e dell’ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale». Chi paga per primo e di più? «Si sono rilevati eccessi nel numero di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori ed eccessi di tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nella fascia da zero a quattordici anni».

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