martedì 13 ottobre 2020
I posti letto promessi e mai creati, i bandi di gara indetti solo dopo l’estate, gli ospedali impreparati a gestire pazienti Covid e non Covid (oltre che le code infinite ai drive-in)
Esami, terapie intensive, pediatri: è in ritardo la prima linea della cura

Ansa

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Lontano dai tavolini dei bar e dalla movida – un Paese ancora impreparato dal punto di vista delle responsabilità e del rispetto delle leggi, oltre che degli altri – c’è un’altra Italia ad armi quasi spuntate innanzi alla seconda ondata di coronavirus. Ed è quella dei medici, degli ospedali, dei laboratori coinvolti nella macchina del tracciamento e delle Asl.

Che cosa sta succedendo è presto detto: siamo in ritardo. Ed ora serve correre, se possibile più veloce del virus. Il dato emerso dal rapporto consegnato a Palazzo Chigi nei giorni scorsi dagli uffici del commissario straordinario all’Emergenza Domenico Arcuri sullo stato dell’arte delle terapie intensive, di cui ha parlato ieri il quotidiano La Stampa, la dice lunga: posti effettivi in più creati negli ospedali da Nord a Sud? Milletrecento circa, per un totale di 6.458 (la primavera scorsa eravamo a 5.179). Che significa essere – al 12 di ottobre – ben lontani da quella “quota 9mila” indicata più volte dal ministero della Salute come soglia di sicurezza conquistata dal Paese.

Niente di male per ora: con 452 pazienti ricoverati per Covid, nelle rianimazioni del Paese risulta occupato meno del 7% dei posti. Ma con l’epidemia che macina 20 o 30 nuovi casi gravi al giorno, il ritardo nei tempi è lampante: solo ieri, d’altronde, si è chiusa la gara da 713 milioni di euro bandita sempre da Arcuri sulla base dei piani di riorganizzazione presentati dalle Regioni per l’incremento delle terapie intensive, la ristrutturazione dei Pronto soccorso e l’aumento dei posti letto ordinari.

Sono previsti 1.044 interventi in 457 ospedali, tutti ancora da realizzare però. C’è poi il fronte dei ricoveri “ordinari”: 4.821 i pazienti in corsia, un numero che è arrivato negli ultimi giorni a crescere anche di mille unità al giorno. Con gli ospedali, ancora una volta, impreparati. Ieri a spiegare la situazione per la Lombardia – ma il problema è lo stesso nelle regioni più colpite, dalla Campania all’Abruzzo fino alla Sardegna – è stato Antonio Pesenti, direttore del dipartimento di Uoc Anestesia- Rianimazione del Policlinico di Milano e coordinatore delle terapie intensive nell’Unità di crisi della Regione per l’emergenza coronavirus: «Per adesso il numero di pazienti ricoverati con coronavirus è gestibile, ma bisogna che tutti gli ospedali prendano dei provvedimenti dedicando dei letti ai malati Covid – ha avvertito –. La preoccupazione al momento non sono le terapie intensive, ma i reparti a media-bassa intensità, e anche nei Pronto soccorso c’è affollamento, perché sono tornati all’attività normale con in più il carico di Covid che ostacola la normale gestione dei pazienti ». Il concetto degli hub per esempio – che sempre in Lombardia sono ben 17 – è stato infatti quasi ovunque pensato per le terapie intensive.

«Ora invece tutti gli ospedali devono allestire dei posti per i malati Covid nei reparti medici, altrimenti non si saprà più dove mettere i malati». Più letti si dedicano al Covid, insomma, e meno attività chirurgica programmata si può fare per tutte le altre (e sono molte) patologie. Di cui ci si continua ad ammalare e di cui si può morire. Ancora, il capitolo tamponi. Tanti, è vero, rispetto alla scorsa primavera, ma pochi – troppo pochi – rispetto alla richiesta attuale, con le file chilometriche che continuano a formarsi fuori da ospedali (nuovamente sotto pressione) e Asl.

Serviva un piano – il virologo Andrea Crisanti, che l’aveva proposto al ministero della Salute, è tornato proprio in queste ore a rivendicare la sua “profezia” inascoltata – e un piano non è stato fatto, sottovalutando per esempio il carico prevedibile di richieste che sarebbe arrivato dalla scuola: «Oggi dobbiamo muoverci in fretta anche su questo fronte – spiega il vicepresidente della Società italiana di pediatria (Sip) Rino Agostiniani –, rendendo il più in fretta disponibili i test antigenici rapidi, che sono stati validati, ai medici e ai pediatri di famiglia».

Così che bambini e ragazzi possano essere testati in fretta, senza che intasino ulteriormente (e senza motivo) strutture e reparti. «Ma i test, tranne che in alcune regioni come Veneto, Lazio ed Emilia Romagna, non arrivano ancora» aggiunge Agostiniani. Senza contare che l’adesione per ora è a macchia di leopardo: «Noi siamo da sempre a disposizione per i tamponi, soprattutto per quelli sui contatti sospetti e sugli asintomatici, che possono essere effettuati negli studi di tutta Italia e in sicurezza già da domani – spiega il segretario nazionale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), Silvestro Scotti –. Ma i dispositivi di protezione e le sanificazioni sono ancora a carico nostro, mancano investimenti e tutele, manca un contratto». E pure i sindacati remano contro, denunciando il possibile effetto Rsa negli ambulatori. «Il risultato è la paralisi».

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