giovedì 19 maggio 2016
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ROMA Forte del via libera europeo ai conti 2016 («L’Italia è tornata alla credibilità grazie alle tante riforme di questi anni. Avanti tutta, il meglio deve ancora arrivare», commenta), Matteo Renzi attende la sera per dare su Facebook una nuova raffica di annunci. Nel giorno della battaglia vinta a Bruxelles, il premer rilancia la polemica contro 'gufi' e profeti di sventura. E sposta l’orizzonte alla Legge di stabilità di ottobre per il 2017: conterrà «molte sorprese positive », assicura. E fra queste indica una «priorità»: «Dobbiamo andare di più nella direzione di dare una mano al ceto medio e alle famiglie. Stiamo discutendo come, se attraverso le aliquote Irpef o un sistema diverso», risponde a un cittadino che lo rimprovera perché ci sono ancora troppe tasse. L’altro colpo a sorpresa riguarda Equitalia, l’agenzia per la riscossione: «Stiamo riorganizzando le Agenzie: tutto il sistema del rapporto tra il cittadino e il pubblico amministratore. Al 2018 Equitalia non ci arriva». Una sentenza già scritta, che il presidente del Consiglio argomenta: ci sarà un nuovo «modello del tutto diverso, perché sia sempre più a disposizione del cittadino e non vessatorio verso il cittadino. Ci stiamo lavorando», anche con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Orlandi. Dà anche un esempio pratico: «Bisogna lavorare molto sulla rivoluzione digitale. Basta una notifica per ricordare di pagare qualcosa, anziché una raccomandata che poi magari non arriva». Il premier torna poi sulle «polemiche» di quando fu chiesta più flessibilità: «Dovremmo ricercare i titoloni e gli editoriali di chi diceva: l’Italia è spacciata, Renzi è isolato». Invece «è arrivato l’ok da Bruxelles con buona pace di chi si augurava un fallimento del nostro Paese». Toni diversi ma soddisfatti anche da parte del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. «Rispettiamo le regole e facciamo una politica giusta. Non è questione di vittoria o sconfitta, l’Italia merita flessibilità che le viene concessa», ha detto in un’intervista radiofonica. Il responsabile del Tesoro è però più prudente sulle scelte future. «È prematuro parlare delle singole misure», risponde a chi gli chiede se il governo vuole intervenire sull’Irpef. Padoan ricorda che «l’impegno del governo è di fare 1,8 di deficit nominale nel 2017». Mentre 'sminare' le clausole di salvaguardia (cioè evitare gli aumenti di Iva ed accise) «è un impegno con il Paese, non con la Commissione Ue». La cautela di Padoan è comprensibile. Il percorso per il 2017 non è una passeggiata. E il nuovo esame sui conti a novembre (solo per l’Italia) è segno che la marcatura sarà stretta. Per il deficit, lo sforzo aggiuntivo richiesto a Roma potrebbe limitarsi a una riduzione di circa tre miliardi (0,15-0,20% del Pil) della spesa pubblica. Uno sforzo di per sé non enorme. Ma in più l’Italia dovrà garantire almeno la metà (quasi 8 miliardi di euro) degli introiti previsti dalla clausole di salvaguardia. Se il governo vorrà cancellarli totalmente dovrà trovare misure compensative equivalenti (spending review, lotta all’evasione, taglio delle agevolazioni fiscali, ecc.). In tutto servirà quindi una correzione intorno ai 10 miliardi. Dall’intervento per stabilizzare i conti in accordo con la Ue restano però fuori le misure per favorire la crescita, il lavoro e i consumi: dalla flessibilità sulle pensioni, al capitolo famiglia, agli sgravi fiscali, agli investimenti. Serviranno altre risorse. E un nuovo braccio di ferro con la Ue non è affatto escluso. Tanto più che il debito pubblico resta sorvegliato speciale. La Commissione ha accolto per il 2016 le argomentazioni di Padoan, che ha invocato i «fattori rilevanti' (ripresa ancora debole, inflazione bassissima) per motivare la mancata riduzione. Ma le norme europee, come è noto, prevedono il taglio di un ventesimo all’anno della quota eccedente il 60%. Oggi siamo al 132,7%, secondo Bruxelles. E se in autunno fosse rilevata una forte deviazione sul deficit, la Commissione potrebbe esigere il rispetto pieno della regola del debito, senza più attenuanti. Intanto dovranno ripartire le privatizzazioni. Il governo ha promesso «un target annuo» dello 0,5% del Pil (8 miliardi), evidenzia la Commissione. Ma il piatto forte della privatizzazione di Fs è già slittato. © RIPRODUZIONE RISERVATA Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan
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