lunedì 20 febbraio 2012
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«Nelle vibranti e libere corse sulle rocce tormentate, nei lunghi e muti colloqui con il sole e con il vento, nella dolcezza un po’ stanca dei delicati tramonti, ritrovavo la serenità e la tranquillità». Chissà se oggi direbbe lo stesso, Giusto Gervasutti, il “Fortissimo”, se, arrivato in vetta a una montagna, trovasse frotte di turisti griffati e vocianti saliti in funivia o se, ascoltando il vento tra le rocce, fosse costretto a sobbalzare per il frastuono di un elicottero carico di sciatori d’alta quota. Va detto che, a volte, anche i “locali”, i montanari, sono i primi a trasmettere musica ad alto volume nei rifugi o a scorrazzare in moto per i sentieri. E questi “spettacoli” non sono poi così infrequenti sulle nostre Alpi, tanto che il Club alpino, il Wwf, Mountain Wilderness e altre associazioni ambientaliste hanno sentito l’esigenza di promuovere una “marcia del silenzio” per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’eccessivo rumore che è ormai diffuso anche sulle vette. La manifestazione, una ciaspolata in programma oggi alle Tre Cime di Lavaredo, è stata promossa, in particolare, per protestare contro l’uso (e l’abuso) delle motoslitte e, più in generale, per chiedere una «regolamentazione nazionale dei mezzi a motore nei boschi».Il problema non è di oggi e risale almeno agli anni Settanta, quando il turismo di massa arrivò sulle Alpi. Per rappresentare questo fenomeno, il sociologo svizzero Bernard Crettaz coniò il termine “Disneyalp”, che indica «un mondo idilliaco» ricostruito. Su questo tema, l’editore Priuli & Verlucca ha recentemente pubblicato un saggio dello stesso Crettaz, in cui lo studioso descrive così questo mondo alpino artificiale: «Un parco, una tecnologia avanzata, un idiliio ricostruito, il consumo commerciale». (Sovra)strutture, secondo Crettaz, oggi presenti «in gran parte delle Alpi».Se questa è la situazione ereditata dal recente passato, il futuro dovrà andare in un’altra direzione. «Il tempo del turismo di massa e dei grandi impianti è finito», ricorda Enrico Camanni, giornalista e scrittore di montagna, fondatore del mensile “Alp”. «Oggi – prosegue – servono piccole infrastrutture, molto integrate nel territorio, che sappiano valorizzare l’ambiente alpino. È il tempo di un turismo “soffice”, in grado di offrire qualcosa tutto l’anno. La monocultura dello sci non ha futuro».Turismo sostenibile presuppone anche un cambio di mentalità, una nuova cultura e un diverso approccio alla montagna. In un recente articolo su dislivelli.eu, Camanni scrive: «Penso a un atteggiamento diverso nello scambio turistico, che può arricchire sia gli “indigeni” che i “forestieri”. Oggi le distanze tra le due culture si sono praticamente annullate, per cui è ridicolo che i montanari sopportino i cittadini ospiti, o che i cittadini snobbino i montanari ospitanti. Abbiamo bisogno di una città e una montagna migliore, perché sono le due facce di un solo mondo».Anche su questo versante qualcosa si comincia a muovere. Lo testimonia l’antropologa dell’Università di Torino, Valentina Porcellana, che da anni conduce ricerche sulle popolazioni alpine. Quando, nel 2007, è stato aperto il Museo Walser di Gressoney La Trinitè, «forse per la prima volta è avvenuto l’incontro vero tra i milanesi e i gressonari», perché entrambi si sono riconosciuti nei simboli di una cultura alpina che, seppure in maniera diversa, riguardava sia chi in valle ci viveva da sempre sia chi, da generazioni, ci andava in vacanza.Anche questo, però, non basta per salvarsi da Disneyalp. Il vero scudo di difesa sono le nuove tecnologie e i germi di innovazione che i giovani stanno facendo crescere anche in montagna. Banda larga e Internet contro megafunivie e discoteche a tremila metri.«In Valle Susa – racconta Valentina Porcellana – ho incontrato una giovane donna di 30 anni che, dalla sua casa, gestisce reti informatiche in Brasile e Sud America. A Roure, in Val Chisone, vivono due cugine specializzate nella produzione di Gofri, la tipica torta di pane delle valli valdesi. Per ampliare la clientela, non hanno aspettato che i turisti salissero a Roure, ma sono andati loro incontro inventandosi una “gofreria” ambulante».Se l’innovazione sale in montagna, la tradizione scende a valle e porta con sé la voglia, positiva, di contaminarsi. Il problema, semmai, è che di innovazione in montagna ce n’è ancora troppo poca, perché, per esempio, la banda larga è diffusa a macchia di leopardo.«Si potrebbe fare molto di più – conclude la ricercatrice piemontese – arrivando a costruire vere e proprie reti di servizi sul territorio. In questo senso le nostre Alpi possono essere un laboratorio di innovazione da sostenere con risorse adeguate».Il messaggio è chiaro: prima di costruire Disneyalp, mettiamo un computer in ogni alpeggio.
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