sabato 26 giugno 2010
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La vera novità, finalmente, è la disponibilità, dichiarata dal governo francese, attraverso il portavoce del ministero degli Esteri Bernard Valero, a collaborare con la Procura di Roma. La Francia a questo punto chiede un passo ufficiale, ma già sul piatto ci sono le rogatorie richieste con Francia, Stati Uniti e Libia, l’unico Paese, a questo punto, refrattario. Dopo decenni di depistaggi, reticenze e accuse, si concretizza la possibilità di capire cosa successe quel 27 giugno 1980. I primi riferimenti alla nazionalità francese del missile che abbattè il Dc 9 Itavia vennero dall’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga, ma più recentemente è stato l’attuale capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a chiedere che sia fatta definitivamente luce su questo mistero internazionale.Segnali positivi in questo senso sono già arrivati dalla Nato, che ha cominciato a trasmettere dati, anche se le informazioni al momento, secondo la presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime  Daria Bonfietti, rimangono al momento insufficienti a ricostruire tutte le risposte che mancano. In definitiva, a distanza di anni emerge finalmente con nitidezza dai tracciati radar acquisiti la presenza di aerei militari nelle vicinanze del Dc 9, così come indicato dalla Corte di Assise di Roma nella sentenza di assoluzione dei generali dell’Aeronautica finiti sotto processo. Da qui l’avvio di una nuova indagine e l’audizione di nuovi testimoni: importante quella dell’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, il quale ha rotto il silenzio precisando che c’era un aereo francese che si mise sotto il Dc 9 Itavia e lanciò un missile “per sbaglio”, aggiungendo anche che i «i francesi erano al corrente del fatto che su quella rotta sarebbe passato l’aereo di Gheddafi». Nel 1999, dopo nove anni di istruttoria, il giudice Rosario Priore, all’epoca titolare degli accertamenti, concluse l’inchiesta sostenendo che il Dc 9 fu «vittima di un’azione militare di intercettamento messa in atto, verosimilmente, nei confronti dell’aereo che era nascosto sotto di esso».Difficile, naturalmente, cancellare decenni di indagini che hanno anche portato a una sentenza della Cassazione, secondo cui l’esplosione avvenne all’interno: dell’ipotesi di “guerra elettronica” è da sempre convinto, per esempio,  Luigi Di Stefano, molti anni perito di parte civile della compagnia Itavia, cui apparteneva l’aereo abbattuto. Secondo il professionista, «il dato di fatto è l’enorme squarcio sul lato sinistro della fusoliera, subito dietro alla cabina di pilotaggio, e il primo riscontro è la presenza di un velivolo sconosciuto in posizione e tempi tali da poter lanciare il missile. Il secondo riscontro sono le 13 salme e arredi trovati in mare a circa 20 km a nord del punto di impatto del DC 9 in mare. Sono usciti da quel varco a 7.500 metri di quota: questi dati hanno permesso di determinare il punto di scoppio della testata e la traiettoria delle schegge, i cui segni inequivocabili stanno esattamente dove sono andato a cercarli».Forse, il momento della verità si avvicina, soprattutto per le famiglie di quel volo Bologna-Palermo, scomparso dagli schermi del radar del centro di controllo aereo di Roma alle 20.59 e 45 secondi di quel 27 giugno.Ieri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi ha dichiarato: «Sul caso Ustica ho riferito alla Camera dei Deputati l’8 ottobre 2002. Concludendo una dettagliata ricostruzione degli avvenimenti, ho illustrato gli unici due elementi rimasti sul tappeto come causa del disastro: o una bomba nella toilette o una quasi collisione... Questo è quanto emerge dalla carte processuali e il governo non può che rispettare sentenze passate in giudicato». Immediata la replica del giudice Rosario Priore: «La verità giudiziaria in Italia spesso è ben diversa da quella storica».
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