sabato 19 dicembre 2020
Secondo i legali dei 24 imputati è inammissibile che si costituiscano parte civile sia il ministero della Giustizia, sia la Regione Emilia Romagna sia le associazioni dei genitori “vittime”
Il municipio di Bibbiano (Reggio Emilia)

Il municipio di Bibbiano (Reggio Emilia) - Ansa

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Sono 44 le richieste di costituzione di parte civile per il processo sui presunti affidi illeciti della Val d’Enza che dovranno essere esaminate dal Tribunale di Reggio Emilia entro il 28 gennaio, quando ci sarà la terza udienza preliminare. Ma a opporre un muro a persone e istituzioni che si ritengono “parte offesa” nella vicenda e che vorrebbero quindi avere un ruolo attivo nel processo, si sono alzate giovedì, durante il dibattimento, le voci dei difensori dei 24 imputati, fra i quali l’ex responsabile dei Servizi sociali della Val d’Enza Federica Anghinolfi e lo psicoterapeuta Claudio Foti, incaricato delle terapie psicologiche dei minori di cui si contesta l’illecito allontanamento dalle famiglie naturali.

Che, nella tesi accusatoria della procura, sarebbe avvenuto anche grazie a relazioni manipolate da parte degli assistenti sociali, con lo scopo di raccontare abusi o maltrattamenti in realtà mai accaduti. Ma secondo i legali degli imputati nessuna richiesta può essere ammissibile, né quella del ministero della Giustizia né della Regione Emilia Ro- magna. E neppure le nove associazioni di genitori “vittime” del sistema in cui è nato il caso Bibbiano: non avrebbero diritto di partecipare al processo o perché «estranei ai fatti e al territorio», o perché nate e diventate “operative” solo dopo i fatti da accertare, e pertanto, sostengono i legali, non avrebbero subito alcun danno per cui chiedere un eventuale risarcimento. Ma evidentemente non tutti i genitori che fanno parte di queste realtà sono coinvolti direttamente nei fatti di Bibbiano.

L’eventualità che decine di madri e di padri, i cui i figli sono stati allontanati dai Servizi sociali senza gli opportuni controlli né degli enti locali né dell’autorità giudiziaria, vengano messi al margine del processo rappresenterebbe un’eventualità molto spiacevole. «Sono proprio le nostre associazioni – fa osservare l’avvocato Patrizia Micai che rappresenta Fiage (Figli liberi dall’alienazione genitoriale) e Comitato 'Angeli e Demoni-Uniti per i bambini' – che si battono per opporsi al sistema Bibbiano. Che vuol dire rappresentare una proposta costruttiva, proprio a partire da questo processo, per depurare il diritto minorile da tutte quelle incongruenze che hanno aperto la strada a casi clamorosi, dall’inchiesta sui “Diavoli della Bassa Modenese” a Bibbiano, a tanti altri casi ».

Tacitata insomma la voce delle associazioni, il processo per i presunti affidi illeciti della Val d’Enza perderebbe gran parte della sua valenza simbolica. Oltre al fatto – altrettanto grave – che le associazioni delle vittime finirebbe per non essere adeguatamente rappresentante. È noto che nell’inchiesta sono entrati nove bambini, ma quattro avevano già fatto ritorno alle proprie famiglie prima che fossero resi pubblici gli esiti del lavoro della procura di Reggio Emilia, alla fine di giugno 2019. Per un quinto bambino era stato il Tribunale ordinario di Reggio Emilia a disporre il ritorno a casa. Esistono poi due casi per cui è già stata pronunciata la sentenza di affido preadottivo. L’indagine ha permesso di accertare la correttezza dell’ipotesi di abusi, confermata implicitamente anche dal fatto che i genitori, a differenza di tutti quelli coinvolti nel caso Bibbiano, non hanno presentato appello. Casi che complessivamente dimostrano come era stato proprio un tribunale – quello per i minorenni – a considerare inconsistenti le relazioni che avevano determinato l’allontanamento dei bambini e a rivederne il giudizio.

Ma giovedì, durante l’udienza, gli avvocati della difesa, hanno sostenuto che ci sarebbe stata «una deformazione dal punto di vista mediatico» perché – hanno spiegato – già all’indomani dell’inchiesta «il procuratore capo di Reggio era intervenuto a smentire che fosse perseguito un “sistema”, ma solo fatti specifici». La presenza del ministero della Giustizia e la Regione Emilia- Romagna, come parti offese, dimostra invece che il processo per i fatti di Bibbiano è qualcosa di più. Se i fatti saranno confermati, non risulteranno feriti soltanto i bambini e le loro famiglie, ma anche le istituzioni che devono garantire proprio ai minori più fragili tutele adeguate. Ed è anche il motivo per cui le associazioni che difendono queste famiglie non devono uscire dal processo.

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