sabato 25 maggio 2013
Al termine di una «lunga discussione», il governo vara le linee guida per uno stop al finanziamento pubblico dei partiti. Entro una settimana, coi suggerimenti della Ragioneria dello Stato, sarà pronto un disegno di legge per limitare i fondi ai rimborsi certificati e aprire alle erogazioni private.
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«Trovato l’accordo sull’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti. Ora la Ragioneria deve preparare le norme fiscali del ddl». È con un messaggio su Twitter che il presidente del Consiglio Enrico Letta ha annunciato ieri, pochi minuti dopo le 14, una delle novità più corpose del Consiglio dei ministri, pronto a varare entro la settimana prossima un disegno di legge in materia, sulla base dei suggerimenti forniti dagli esperti del neo Ragioniere dello Stato, Daniele Franco. «È stata una lunga discussione», riassume il ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio, al termine della riunione, durata due ore e mezza. La questione è cara a Letta, che già nel 2007 aveva presentato in Parlamento una proposta ad hoc. E la scelta di percorrere appieno l’iter parlamentare senza ricorrere d’emblée ad un provvedimento d’urgenza, testimonia la convinzione che si tratti di un tema così vitale per la democrazia che i suggerimenti dei partiti di maggioranza e d’opposizione saranno necessari e preziosi: «Potrebbero anche nascere delle criticità – ragiona il capo del governo – ma confido che si troverà una giusta sintesi». Una mediazione va messa in conto, visto che già ieri alcune voci di spicco (dal segretario del Pd, Gugliemo Epifani, al colonnello del Pdl, Fabrizio Cicchitto) suggerivano tagli "graduali". In ogni caso, Letta si è dato una deadline: «Se entro sei mesi i partiti dovessero incartarsi in ragionamenti poco concreti senza approvare il provvedimento, faremo un decreto legge». A dargli manforte in Cdm, le voci del vicepremier, Angelino Alfano («Era nel nostro programma») e del titolare delle Riforme, Gaetano Quagliariello: servono «serietà e trasparenza senza cedere all’antipolitica e senza sopprimere la democrazia». Soddisfatto anche il ministro della Difesa, Mario Mauro: «Dopo il governo di grande coalizione, passa ancora un cavallo di battaglia di Scelta Civica».Come potrebbe articolarsi il nuovo provvedimento? La nota di Palazzo Chigi traccia alcune linee, menzionando «l’abrogazione delle norme vigenti» e «la definizione di procedure rigorose in materia di trasparenza di statuti e bilanci dei partiti» (il caso Lusi, ma non solo quello, docet). Si potrebbero far sopravvivere i rimborsi, ma limitandoli alle sole spese rendicontate e senza legarli in alcun modo ai voti ottenuti. Una inaccettabile presa in giro, ha ripetuto Letta, che i cittadini non sopportano più.Verranno semplificate le procedure per le erogazioni liberali dei privati, ferma restando «l’esigenza d’assicurare la tracciabilità e l’identificabilità delle contribuzioni». Al contempo, saranno introdotti «meccanismi di natura fiscale, fondati sulla libera scelta dei contribuenti, a favore dei partiti», forse simili all’attuale «5 per 1000» in favore delle onlus. Infine, il ddl dovrebbe prevedere anche un «sostegno non monetario» al funzionamento delle organizzazioni, «in termini di strutture e servizi». A completare il pacchetto-trasparenza, Letta ha inoltre presentato ai ministri le linee guida di un prossimo disegno di legge sulle attività delle lobby e sulla rappresentanza degli interessi economici.L’annuncio di ieri conferma quanto (misure economiche e legge elettorale a parte) una delle priorità dell’azione di governo sia la spending review "etica", che sul piano delle riforme istituzionali comprende i tagli ai costi della politica, sui quali il premier ha ottenuto la fiducia delle Camere. Vicende eclatanti come quelle addebitate al’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi, al leghista Francesco Belsito e al consigliere laziale del Pdl Franco Fiorito, hanno accresciuto l’indignazione dell’opinione pubblica, che già da vent’anni non riesce a capire perché sia stato disatteso il volere popolare di cancellazione dei finanziamenti, espresso col referendum del 1993. Nel frattempo, il rivolo di denaro pubblico affluito nelle casse di partiti e movimenti, a volte minuscoli, è diventato un fiume di migliaia di milioni di euro (il picco ci fu nel 2008: 503 milioni a fronte di 110 di spese rimborsabili). Un primo argine è arrivato l’estate scorsa, col taglio del Parlamento che ha ridotto a circa 159 milioni di euro i fondi destinati ai partiti in questa legislatura. Ora l’annuncio di una riforma drastica, sulla quale il premier non intende tornare indietro: «Si tratta di una strada obbligata – ha ribadito nella grande sala di Palazzo Chigi –. Di fronte alla sofferenza di molte fasce sociali, non si può continuare così. I partiti debbono comprendere che o si cambia o si muore...».
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