giovedì 16 luglio 2020
Doppia sentenza in quindici giorni dei giudici amministrativi difende la norma sugli orari di apertura delle "sale gioco". La tutela della salute viene prima degli interessi economici
Slot, il Consiglio di Stato boccia 2 ricorsi contro le regole severe di Roma
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In poco più di quindici giorni il Consiglio di Stato due volte ragione al Comune di Roma, sugli orari di apertura di sale slot e vlt. Due sentenze che ancora una volta mettono al primo posto la salute rispetto agli interessi economici. Una doppia sconfitta di "azzardopoli", ma non l'unica. I giudici amministrativi anche in altre regioni respingono i ricorsi contro ordinanze comunali. È successo a Reggio Emilia contro il distanziomentro e a Belluno contro l'ordinanza del comune che ha inserito anche i bancomat dalla lista dei luoghi sensibili, dai quali i luoghi dell'azzardo devono essere distanti più di 300 metri. La ripresa dell'azzardo dopo la pausa del lockdown porta, dunque, importanti notizie sul fronte del contrasto al grande affare.

La prima sentenza del Consiglio di Stato è del 26 giugno e respinge il ricorso di alcuni gestori di sale contro l'ordinanza della Capitale del 2018, che prevede il funzionamento delle "macchinette" dalle ore 9 alle ore 12 e dalle 18 alle 23. Secondo i giudici di Palazzo Spada "le misure adottate dall'ordinanza, tese a restringere il funzionamento degli apparecchi di gioco a determinate fasce orarie erano pienamente rispettose del principio di proporzionalità, in connessione con le finalità dalla stessa ordinanza contemplate, laddove si indicava quella di prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo” anche nell’ottica di “contrastare l’insorgere di abitudini collegate alla possibilità di utilizzo degli apparecchi stessi da parte degli studenti, con particolare riferimento agli orari di uscita dalle scuole e con l’intento di prevenire la trasmigrazione degli utenti dall’una all’altra tipologia di esercizio, fenomeno che verosimilmente si verificherebbe in caso di diversificazione degli orari”.

La sentenza è la prima di una lunga lista di ricorsi presentati dagli operatori del settore, e i giudici confermano quanto già deciso dal Tar Lazio. Secondo il Consiglio di Stato la documentazione presentata dal Comune "dimostra con una dettagliata motivazione che l’istruttoria" su cui si poggiano i limiti orari "è stata del tutto completa". Dai dati del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, scrivono i giudici, emerge che per il gioco d'azzardo patologico (Gap) c'è "un aumento progressivo del numero di soggetti in carico ai servizi di cura". A preoccupare il Comune è stato anche "l’elevato numero di aperture di sale da gioco autorizzate", un segno "che appare innegabilmente insuperabile quanto alla prova della necessità di misure di contenimento da adottare". Respinto dai giudici anche il richiamo fatto dagli operatori all'intesa sui giochi trovata in Conferenza Stato-Regioni nel 2017: in quella sede era stato stabilito un limite massimo di 6 ore al giorno di interruzione del gioco, ma con una clausola che autorizzava anche l'efficacia di norme locali più stringenti "se prevedono una tutela maggiore". Dunque, per quanto riguarda Roma, "la mancata presa in considerazione degli interessi economici degli imprenditori di settore e la supposta riduzione della raccolta di gioco complessiva di almeno il 34% è superata dal problema della tutela della cittadinanza".

Su questi arigomenti torna anche la seconda sentenza del Consiglio di Stato del 13 luglio, affermando che l’accordo raggiunto in Conferenza Stato-Regioni, "non ha efficacia cogente" perché non è mai stato adottato dal Mef il decreto ministeriale previsto per attuare l'intesa. Il Consiglio di Stato sottolinea anche in questa sentenza che "la documentazione acquisita da Roma Capitale dimostrava in maniera inequivocabile un aumento del numero di pazienti affetti da Gap trattati nel territorio comunale (e regionale) nel corso degli anni (dal 2012 al 2017)”. E sulla proporzione della misura, ricorda che le fasce orarie consentono effettivamente di ridurre l’offerta di gioco e che comunque negli orari di stop le attività possono rimanere aperte vendendo prodotti di altro genere. Quindi la misura "pur comportando, certamente, una riduzione dei ricavi, e, in questo senso, un costo per i privati, può essere efficacemente sostenuta mediante una diversa organizzazione dell’attività di impresa”. Sui potenziali danni economici degli operatori, infine, il Consiglio di Stato torna a ripetere che nei principi di diritto europeo e costituzionale "le esigenze di tutela della salute vengono ritenute del tutto prevalenti rispetto a quelle economiche". Dunque, sentenzionano i giudici amministrativi, è nei poteri "del Sindaco disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature da gioco". La conferma che la strada imboccata da molti primi cittadini è quella giusta.

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