undefined - IMAGOECONOMICA
Quando si inizia un dibattito, facendolo precedere enunciando un dogma: il gioco d’azzardo “ulteriore settore decisivo dell’economia nazionale”. Insomma, chi ha convocato gli “Stati Generali” dei Monopoli, che si aprono oggi a Roma nella loro sede, afferma perentorio che le slot machine, le lotterie e le scommesse (settore “decisivo”) accrescono la ricchezza del Paese e spingono per la competitività dell’Italia sulla scena europea e mondiale.
Con buona pace degli economisti “di scuola” che bilanciando (restiamo alla questione solo monetaria) le entrate e i costi, concludono invece che il saldo ha il segno “meno”. Meno consumi di beni e di servizi, meno ricavi fiscali, meno occupazione, meno sviluppo economico. Dal budget delle famiglie, tra gli 850 e i 900 miliardi, ne togli una fetta di 21 (somma delle perdite al gioco) e ti spieghi perché chiudono tante botteghe che vendono prodotti delle manifatture o servizi per le esigenze di ogni giorno.
Che il sistema dell’azzardo abbia un effetto depressivo anche sul Prodotto Interno Lordo, che agisca cioè come un “moltiplicatore negativo” dell’economia, lo dimostrano gli studiosi dei paesi liberisti e ultraliberisti (Courtwright, Adams, Orford, Hakim, Grinols e tanti altri, di USA, Canada, UK, Australia). E anche sulla fiscalità, questo sistema dei consumi tossici produce perdite, e assai rilevanti. Nella liberista America del Nord, il Tax Policy Center di Washington documenta i mancati incassi con uno scrupolo che la nostra amministrazione finanziaria dello Stato farebbe bene a emulare. Le “sin taxes”, o tasse sui vizi, sono “Il futuro oscuro della tassazione statale”.
Il riscontro lo abbiamo anche in Italia, davvero molto netto. Dati alla mano, sull’anno 2023. I nostri concittadini hanno puntato circa 148 miliardi di euro, e ne hanno persi 20,7. Lo Stato ha ricavato 10,47 (sempre di miliardi) e le società private hanno avuto un margine quasi pari (10,2). Stessi numeri dell’anno 2017, prima del grande balzo, ma di ben 50 punti percentuali, della corsa alla fortuna industrializzata.
Ed ecco la conclusione elementare: per mantenere lo stesso livello delle entrate (per lo Stato) e dei profitti (per le società private) occorre arruolare a una vita quotidiana interpolata dall’azzardo quanta più popolazione possibile. In modo che aumenti anche la quota dei malati di gioco: perché sono questi il core business del sistema. L’80 per cento del margine deriva proprio dal 20 per cento dei consumatori abitudinari di una o più delle 51 modalità di gambling “sul mercato”. Da questo sottoinsieme di scommettitori regolari e metodici si enuclea poi l’area dei giocatori effettivamente con patologia da azzardo: erano circa 1,5 milioni nel 2018 (indagine epidemiologia dell’Istituto superiore di Sanità) e sono aumentati in proporzione con la galoppata degli anni successivi.
Quanto ai giovani, le analisi convergono. Ci riferiamo ovviamente alle ricerche effettuate nell’interesse pubblico, dal ministero della Salute (Iss), dal Consiglio nazionale delle ricerche, dalle Aziende sanitare: tra i ragazzi della Generazione Zeta abbiamo il 29,2 per cento di giovani che dichiarano di aver giocato d’azzardo; percentuale che sale al 44,2 tra gli alunni delle ultime classi delle scuole medie superiori, con un saldo, in numeri assoluti, tra i settecentomila e il milione di persone. Con un profilo di “giocatore problematico” sono oltre 70 mila. E si tratta di una popolazione dove, a rigore, il dato dovrebbe essere “zero”, poiché l’accesso è vietato per legge.
L’abrogazione e il differimento di norme importanti delle leggi regionali stanno rafforzando la ripresa anche delle slot machine nei bar, come nel caso delle province del Piemonte. Lì, tra il 2020 e il 2024 gli apparecchi sono ritornati in ben 1.200 pubblici esercizi (bar, alberghi, supermarket ecc.) dov’erano stati spenti dalle norme in vigore dall’inizio del 2018. Liberi tutti, e così anche le più sperdute località di montagna hanno ripreso a sentire le note si bemolle e mi bemolle dei suoni delle slot machine.
Ma il tratto più eclatante della resistibile ascesa del gioco d’azzardo industriale è quello delle forme online, o “a distanza”. Dietro i numeri monstre (82 miliardi e 552 milioni di euro puntati) vi è l’arruolamento in massa tra la popolazione, compresa una quota rilevantissima della popolazione anziana. Tra il 2018 e il 2023, passando quindi per il biennio del Covid, le persone che dispongono di un conto di gioco d’azzardo online sono aumentate di oltre 42 punti percentuali. Da circa 5milioni si è arrivati a 7milioni e 65mila. Notevole la conquista di clienti tra gli anziani: più 128 per cento, arrivando a coinvolgere 121 mila persone over 75, altre 865mila tra i 65 e i settantaquattrenni. I giovani-adulti (quelli di età compresa tra i 18 e i 24 anni) che hanno in funzione uno o più conti di azzardo online sono un milione e 200 mila.
Con queste dimensioni del fenomeno ha un qualche senso (che non sia la manipolazione) evocare lo spettro del proibizionismo? Che senso ha dunque, in questi “Stati generali dei giochi pubblici” (d’azzardo) “confrontarsi sull’efficacia delle politiche proibizioniste e sul divieto”? il dilemma, semmai, è tra il diritto alla salute, art. 32 della Costituzione, e la sua sospensione quando dilagano produzioni che la minacciano, come il gioco d’azzardo, il tabagismo, il cibo industriale ipercalorico, l’alcolismo. Dilagano, senza che il parlamento riesca a rispettare la gerarchia dei valori della Repubblica, ovvero prima la salute, seguita dall’interesse fiscale dello Stata e quindi dallo spazio, rigorosamente controllato, dell’economia privata che distribuisce sigarette, superalcolici, junk food, scommesse, lotterie e roulette digitali.