sabato 18 novembre 2017
Parla la figlia del generale ucciso a Palermo il 3 settembre 1982. «Lo Stato gli ha garantito una fine dignitosa. Ma a cosa è servito il suo odio?»
Simona Dalla Chiesa

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Dalla sua bocca non è mai uscita una parola di vendetta, neppure oggi. Solo il desiderio che chi è attratto dal potere violento e corrotto della mafia si domandi: «Che senso ha emulare questi modelli di vita?».

Simona Dalla Chiesa è la figlia minore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso a Palermo, dove era prefetto da 100 giorni, il 3 settembre 1982. Sul luogo dell’eccidio comparve un cartello: 'Qui è morta la speranza dei palermitani onesti'.

Che effetto fa sapere che il capo di Cosa nostra, che ha ordinato anche l’uccisione di suo padre, non c’è più?

Se pensiamo alla scomparsa di Provenzano e Riina, ci si rende conto che un’epoca della mafia è finita. Purtroppo questo non coincide con l’affermazione che la mafia non c’è più, perché sappiamo benissimo che i posti lasciati vuoti vengono riempiti. Cambieranno forse i riferimenti, anche quelli politici, istituzionali, i sistemi, i metodi. Però purtroppo è ancora lontana la parola fine, cosa a cui naturalmente aspiro.

La scorsa estate ci sono state molte polemiche sulla richiesta dei legali di Riina di concedere la detenzione domiciliare al boss per gravi motivi di salute e per garantirgli una morte dignitosa. Il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’istanza. Ha condiviso questa decisione?

Apprendendo della morte di Riina, la prima cosa a cui ho pensato è che gli è stata garantita una morte dignitosa, in un ospedale ottimo, dove è stato curato e operato, con la presenza dei suoi familiari appena è stato possibile consentirlo. Quindi, lo Stato ha garantito la dignità della sua morte. Mentre mi ha preso una profonda tristezza pensando a che cosa sono servite a quest’uomo la sua avidità di potere, la sua ferocia: a condurre una vita segregata prima da latitante e poi in un carcere, quando davanti al mistero della morte siamo comunque soli come qualunque essere umano. Cosa ha lasciato di questa vita? Che traccia ha lasciato nel suo percorso terreno? È niente in confronto alla pienezza degli affetti, alla possibilità di vivere liberamente, di poter godere di tutto quello che una vita normale può offrire tra gioie e dolori. Ho pensato a questo e anche a come Riina possa avere trascorso tanti anni in carcere senza provare, almeno così dicono, nessun pentimento non solo giudiziario, ma neanche personale. Sentendo i suoi discorsi, durante le intercettazioni, non c’è stato l’atteggiamento di una persona che con il passare degli anni si rende conto del male provocato, del dolore arrecato e dell’inutilità di questa ferocia. C’è ancora, anzi, un suo ripetere, minacciare, continuare su questa strada.

Nelle intercettazioni in carcere, Riina si gloriava della sua carriera criminale, di aver fatto fare a Giovanni Falcone la «fine del tonno». Si vantava anche dell’omicidio di suo padre: «Il benvenuto gli dobbiamo dare».

Sono frasi e pezzi di un tipo di cultura che, ovviamente, non solo non mi appartiene ma non riesco nemmeno, sforzandomi, a capire. Quello che riesco a chiedermi è che senso abbia una vita di questo genere, il dolore che ha generato, questa cattiveria e quest’odio nei confronti dell’uomo. C’è una lista infinita di omicidi ordinati da lui. Com’è possibile che costui, una volta uscito da quell’ambiente, non abbia mai riflettuto su quello che aveva provocato?

Nel libro che lei ha scritto con i suoi fratelli, 'Un papà con gli alamari' (Edizioni San Paolo), viene sottolineato il fatto che, per quanto vostro padre sia stato sottratto al vostro affetto prematuramente, siete felici di averlo avuto così, impegnato ad affermare la giustizia.

La ricchezza di valori che ci ha lasciato ha consentito a noi, in tutta la nostra vita, di poter attingere a questo tesoro. Non conosco la parola vendetta, non mi appartiene questo modo di pensare, mio padre e mia madre non me lo hanno insegnato. Penso che sulla terra la giustizia abbia potuto fare il suo corso grazie ad altri uomini dello Stato, oggi subentra un’altra giustizia.

Quale messaggio dà la morte di Riina ai giovani?

Ùn messaggio di speranza e di valori. A chi fosse affascinato dal potere, anche compiendo del male, vorrei dire che la vita merita di essere vissuta per goderla mentre la si vive e per lasciare un segno positivo quando non ci si è più, per costruire e non per uccidere presente e futuro.

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