giovedì 30 settembre 2010
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«Gli auguri? Non sono nelle prerogative del presidente della Camera». Gianfranco Fini con una battuta sul compleanno di Silvio Berlusconi – ma anche di Pierluigi Bersani – prova a stemperare la tensione per quella che si preannuncia la più difficile giornata della sua carriera politica. Una partita decisiva che lo vede anche nel delicato ruolo di arbitro dallo scranno più alto di Montecitorio e che lo rimette a contatto col presidente del Consiglio, dopo aver interrotte le comunicazioni, da quel fatidico 22 aprile, quello del «che fai, mi cacci?» alla direzione del Pdl.Fini in tarda mattinata riunisce i suoi, dopo aver ascoltato un intervento del premier che non avrebbe osato immaginare più conciliante. La sua soddisfazione è pari solo alla delusione dei falchi del Pdl, come Daniela Santanché: «Così si dà tempo a Fini di rafforzarsi», confida conversando con Melania Rizzoli e Manuela Rapetti.«Poteva pensarci prima, ci saremmo risparmiati mesi di tensione», ragiona invece Fini soddisfatto anche per il sostanziale riconoscimento di Fli. Ma è tardi per tornare indietro: «Aveva provato a dividerci, ma ci ha reso ancora più compatti». La maggioranza va avanti, ma «senza di noi non va da nessuna parte», dice ai suoi riuniti nella sede di Farefuturo. A quell’ora, voto più voto meno, il risultato è già chiaro nella sostanza, grazie anche all’Mpa di Lombardo che sceglie significativamente di firmare la terza risoluzione di maggioranza insieme a Fli. «Martedì ci riuniremo e faremo un ragionamento sul percorso del nuovo soggetto politico». Dosa le parole, Fini, non parla di partito e non dà nulla per definito, come rimarca il moderato Silvano Moffa. Non senza aggiungere, anche lui, che «un percorso nuovo si apre». Si parla già di un coordinamento, ma a guidare questo processo non sarà Fini, che resta saldamente, fa trapelare lui stesso, alla presidenza della Camera. Si fa il nome di Adolfo Urso, ma è solo un’ipotesi.Fini è raggiante: niente intercettazioni e, sul processo breve, solo un riferimento all’obiettivo della ragionevole durata, senza blindare il testo del Senato. Scherza: «Non sono riuscito a trattenerni, mi è venuto da sorridere quando Berlusconi ha detto di avere un’indole aperta al dialogo, ma un intervento del genere non possiamo non votarlo».Per Fini il momento più difficile, però, ci sarà dopo, nelle dichiarazioni di voto, quando la gazzarra suscitata dagli attacchi personali di Antonio Di Pietro lo costringerà a intervenire: una prima volta di sua iniziativa, e poi una seconda, in modo più secco, sulla spinta dello stesso Berlusconi, che solo allora si volta verso l’alleato più scomodo che presiede.Toccherà a Italo Bocchino mettere i paletti per la nuova convivenza: «Siamo favorevoli sui punti del programma – dice nella dichiarazione di voto – compreso il quoziente familiare». Mentre sulla giustizia Fli voterà lo scudo per le alte cariche e la riforma della giustizia, «a patto che non siano punitive per i pm e per i cittadini che attendono giustizia». Ma il vero riconoscimento era venuto alla fine della replica di Berlusconi, quando questi ringraziava tutte e tre le mozioni a suo sostegno. L’ultima grana, alla fine, per il no di Mirko Tremaglia e Fabio Granata. Così l’incombenza finale della giornata era per fare "barba e capelli" al pasdaran vice dell’Antimafia: «Ma come, nel giorno in cui vinciamo su tutta la linea, in cui fissiamo le basi per il nuovo soggetto, tu che fai, Fabio, mi rompi l’unità del gruppo?».
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