venerdì 16 marzo 2018
Sono oltre 90mila i marittimi impiegati sulla flotta tricolore di 1.474 natanti. Mancano però dati certi sulla presenza di non comunitari. E crescono i casi di lavoratori truffati
Sfruttati e sottopagati. Gli schiavi sono a bordo
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Nel mondo i lavoratori del mare costituiscono una forza di oltre un milione e mezzo di marittimi, per la maggior parte provenienti dai Paesi in via di sviluppo. In Italia i posti di lavoro nel comparto delle movimentazione di merci e passeggeri via mare supera le 90mila unità, ma non esistono dati certi sulla percentuale di stranieri non comunitari che lavorano a bordo delle navi italiane né con quale genere di contratto. Grazie a questi operai della navigazione può viaggiare il 90% delle merci scambiate tra i cinque continenti. Ma a quale prezzo?

La Convenzione internazionale sul lavoro marittimo del 2006 (Mlc), entrata in vigore nell’agosto 2013, stabilisce i requisiti internazionali minimi dei diritti umani e lavorativi dei marittimi. Ma ancora oggi sono numerosi – segnalava pochi mesi fa il Dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale – i casi di equipaggi ingannati sul salario, sfruttati e vittime di abusi nel loro posto di lavoro, ingiustamente criminalizzati per incidenti marittimi e abbandonati in porti stranieri. Di recente è toccato agli uomini della C-Star, la nave noleggiata dagli estremisti di “Generazione identitaria”, che avrebbero voluto ostacolare le operazioni di soccorso dei migranti da parte dei vascelli delle Ong. I marinai, in gran parte asiatici, attendono ancora di venire pagati.

Le normative, infatti, possono essere aggirate subappaltando a società estere l’arruolamento di marinai pagati 'legalmente' secondo i contratti dei Paesi d’origine e questo spiega la crescente presenza di immigrati sfruttati e sottopagati rispetto a un pari grado italiano. Già nello scorso 30 gennaio, nel corso del negoziato per il rinnovo del contratto nazionale dei marittimi, la Cisl in una nota segnalava che «il contesto in cui si muove il comparto marittimo è in continua evoluzione » e gli scenari per gli anni a venire, «seppure in condizioni di mercato migliori rispetto al recente passato» devono misurarsi «con aspetti di concorrenzialità feroce ».

Un tema non di poco conto alla vigilia della stagione croceristica che solo nel Vecchio Continente movimenta ogni anno oltre 40 miliardi di euro. A bordo dei villaggi turistici galleggianti lavorano oltre 360mila persone, in maggioranza stranieri. Lo scorso 7 dicembre l’Italia era finita nel mirino della Commissione Ue per ritardi e inadempienze proprio sul fronte dei lavoratori marittimi. Due le procedure d’infrazione aperte. Bruxelles chiede all’Italia di prendere azioni correttive sui programmi di formazione e di istruzione dei marinai nonché della loro definizione, revisione e approvazione, sul riconoscimento dei certificati, sulla certificazione delle competenze degli ingegneri a livello manageriale e sui requisiti per la certificazione.

Quanto alla seconda infrazione, la Commissione invita l’Italia a notificare tutte le misure nazionali che traspongono la direttiva Ue del 2009, entrata in vigore nel 2013, relativa alla Convenzione dell’Ilo sul lavoro marittimo del 2006. Queste riguardano le norme sulle condizioni lavorative dei marittimi, in particolare le condizioni di impiego, l’età minima, la durata del lavoro, salute e sicurezza, i diritti sociali. L’ultimo censimento della flotta mercantile italiana (31 dicembre 2016) registrava la presenza di 1474 navi. «A ciò si aggiunge – annotava lo studio di Confitarma, la federazione degli armatori – la crescente flotta di bandiera estera controllata da interessi armatoriali italiani, frutto perlopiù di un processo di espansione».

In altre parole, è sufficiente che su una nave sventoli la bandiera di un Paese lontano, perché si possano applicare contratti di lavoro con condizioni da terzo mondo.

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