giovedì 11 maggio 2023
Dalla comunità scientifica ai sindacati, fino ai professionisti della salute, ecco chi chiede risorse e progetti per riuscire a difendere (e rilanciare) il Ssn
Servizio sanitario nazionale, perché cresce la mobilitazione

Ansa

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Ora che l’emergenza pandemica è ufficialmente alle spalle, è tempo di bilanci. E quelli sulla sanità, nel nostro Paese, purtroppo sono quasi tutto in rosso. Pensare che proprio il virus, e lo tsunami con cui ha sconquassato i nostri ospedali, erano stati la molla per un ripensamento strutturale dei servizi che avrebbe dovuto (e dovrebbe) trovare nei fondi del Pnrr il suo strumento straordinario e inaspettato di realizzazione: oltre 15 miliardi complessivi, di cui ben 7,5 destinati alla riorganizzazione dell’assistenza sul territorio attraverso l’implementazione delle cure a domicilio e la creazione di case di comunità.

Che oggi però non esistono ancora, e in molti dubitano potranno mai essere realizzate vista la drammatica mancanza di medici e infermieri con cui farle funzionare. Il tema del personale sanitario è solo il primo nella lista delle criticità, ma è quello dirimente.

Perché è ovvio che senza medici e infermieri il Servizio sanitario – poco importano i fondi – non può stare in piedi.

In queste ore ordini e sindacati di ogni categoria sono tornati a rimarcare con forza l’esigenza di trovare una volta per tutte la soluzione all’emorragia, che giace sul tavolo del ministro della Salute senza per ora incontrare sconvolgenti piani di cura. Secondo la Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu) nei Pronto soccorso mancano 4.200 medici (in sei mesi, da gennaio a luglio 2022, se ne sono dimessi 600, in pratica 100 al mese).

I conti di Agenas dicono che i medici di famiglia sono 40mila (in Francia, tanto per fare un confronto, arrivano a 94mila), il 75% dei quali con oltre 27 anni di anzianità. L’ultimo rapporto Gimbe certifica l’assenza di quasi mille pediatri (e saranno oltre 3mila nel 2031). E i dati della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) parlano di 100mila infermieri pronti a uscire dagli ospedali nel giro di 8-10 anni.

Non che la questione sia di colore politico: i camici bianchi mancavano ai tempi del ministro Speranza, e a dire il vero cominciavano a scarseggiare anche prima dell’arrivo del Covid, quando gli allarmi sull’impatto dei pensionamenti erano per lo più inascoltati. «Sull'attrattività del Servizio sanitario esiste un problema paneuropeo – ha detto ieri il ministro Orazio Schillaci –, gli infermieri mancano in tutta Europa e questo problema va affrontato bene. Qui da noi questo problema sconta errori di programmazione precedente», mentre «il problema dei medici è diverso anche se una migliore programmazione poteva farci avere più medici che potevano farci comodo. Ecco perché, in accordo con il ministro Bernini, ci sarà un ampliamento degli iscrivibili alle facoltà di Medicina da subito». Una promessa non nuova, che arriva nei giorni in cui davanti alle università di mezzo Paese gli studenti si assiepano con le tende perché – prima di diventare medici, infermieri o qualsiasi altra cosa – serve anche che possano frequentarla, l’università.

Altro tasto dolente, in buona parte legato alla carenza di personale e poi ovviamente anche al black-out pandemico, sono le liste d’attesa. Lunghissime, anche in regioni storicamente virtuose come la Lombardia e il Veneto, in altri casi infinite. Col servizio pubblico che arranca, la fortuna dei "gettonisti" (pagati dallo Stato), il privato che galoppa, gli ospedali che sempre più spesso diventano teatri di tensioni, proteste, persino aggressioni (quelle che finiscono – sembra il gatto che si morde la coda – nuovamente ad allontanare il personale sanitario). Si capisce allora il peso dell’appello, ormai diventato una slogan, del “Servizio sanitario da salvare”.

A lanciarlo sulle pagine di Avvenire era stato il direttore dell’Istituto Mario Negri Giuseppe Remuzzi, in una lunga intervista: «Il Covid ha incontrato nel nostro Paese una sanità trascurata per troppo tempo, del tutto priva di organizzazione territoriale, con gli ospedali impoveriti delle attività, demandate al privato e la spina dorsale dei medici di medicina generale del tutto svnicolata dalla governace regionali. E cosa è stato fatto? Niente. Siamo fermi».

Lo scienziato è tornato più volte in questi giorni a ribadire la necessità di investire sui giovani, sulla ricerca, sulla medicina territoriale «governando la sanità pubblica» che significa «chiudere i piccoli ospedali, aumentare lo stipendio dei medici, eliminare l’intramoenia perché crea artificialmente una lista d’attesa e fare pressioni sul Governo centrale perché ci sia un adeguato finanziamento a livello regionale».

Considerazioni condivise appieno dal presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, che per la crisi del Ssn ha la sua ricetta: «Una legge che leghi il numero delle lauree in medicina a quello delle borse di specializzazione (oggi insufficienti)» perché «più che i medici a mancare sono gli specialisti» e poi fondi destinati al capitale umano «prima che a costruire strutture o acquistare strumenti». La sfida resta aperta, sul piatto la salute di tutti.


LE NOVITÀ (E LE POLEMICHE)
Medici gettonisti, una stretta a metà. Critici i sindacati E negli ospedali arrivano le postazioni fisse di Polizia

Maglie meno rigide, rispetto alle previsioni iniziali, per l’utilizzo dei medici gettonisti; possibilità di istituire posti di Polizia fissi negli ospedali e stabilizzazione dei ricercatori del Servizio sanitario nazionale. Sono alcune delle novità previste per il settore sanità dal Decreto bollette, per il quale è stato completato l’esame degli emendamenti da parte delle commissioni riunite Finanze e Affari sociali della Camera. Il testo, con le modifiche apportate, approderà in Aula alla Camera il 17 maggio per l’avvio della discussione generale. Confermata, innanzitutto, l'indennità per medici e infermieri dei servizi di emergenza-urgenza: verrà coperta dall’1 giugno 2023 al 31 dicembre 2023 con un importo di 100 milioni di euro complessivi di cui 30 milioni per la dirigenza medica e 70 milioni per il personale del comparto sanità.

Molto atteso, è poi giunto il via libera alla possibilità di istituire postazioni fisse di Polizia nelle strutture ospedaliere per il contrasto degli episodi di violenza contro il personale sanitario. Già divisiva, invece, la misura sui medici gettonisti: le aziende ospedaliere potranno fare ricorso a questi ultimi non soltanto nei servizi di emergenza-urgenza ospedaliera, come si indicava nel testo iniziale del decreto, ma anche in altri reparti se necessario. I servizi potranno essere esternalizzati solo per un periodo non superiore a dodici mesi, ed il personale medico ed infermieristico utilizzato dovrà essere in possesso dei requisiti di professionalità contemplati dalle disposizioni vigenti. «Dovevamo mettere un freno – ha detto il ministro –, ma se togliamo i gettonisti dall’oggi al domani rischiamo di far franare qualche reparto e questo non lo vogliamo fare per i pazienti». Critici i sindacati medici, che parlano già di «marcia indietro».

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