domenica 8 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
ROMA «In Italia si parla forse troppo di legalità, senza poi accompagnare a questa parola il concetto di responsabilità, cioè alla consapevolezza di quali siano le conseguenze delle azioni che ciascuno di noi compie...». Al rispetto della legalità, il magistrato Alfonso Sabella ha dedicato la propria esistenza, sia con la toga indosso (ha perseguito e stanato boss latitanti come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca), sia nei panni del 'tecnico' prestato alla politica, come assessore alla Legalità della giunta capitolina di Ignazio Marino. Una parentesi di dieci mesi chiusa ad ottobre, dopo la quale Sabella è tornato in magistratura, raccontando la sua esperienza romana nel libro «Capitale infetta», scritto insieme al giornalista Giampiero Calapà. Lei è attorniato da ragazzi. Quando si parla a loro di rispetto delle regole, non si rischia di scivolare nella retorica? No, se si evita di ragionare in astratto e ci si concentra sulle risposte concrete da dare alle persone. E questo lo può fare solo la politica che, tenendo dritta la barra della legalità, deve poter trovare soluzioni ai problemi dei cittadini. Molti giovani dicono di non comprendere le ragioni del conflitto quotidiano fra politica e magistratura. Se dovesse spiegarle loro, cosa direbbe? Intanto, io sono un magistrato non iscritto ad alcuna corrente della magistratura. Rispetto chi lo è, ma ho fatto questa scelta sin dall’inizio della mia carriera. Detto questo, gli scontri tra politica e magistratura purtroppo in questo Paese sono ciclici. Quando si parla di «giustizia a orologeria», forse si dovrebbe parlare di «conflitti a orologeria»... Per quale motivo? Perché spesso vengono enfatizzate determinate situazioni per creare questo conflitto, forse c’è gente che ha interesse a farlo. E invece sbaglia, perché questa tensione non fa bene né alla politica né alla magistratura, ma fa male al Paese. Molti studenti qui presenti vengono da scuole di Roma e sono preoccupati per le infiltrazioni di 'Mafia Capitale'. Quale futuro vede lei per l’Urbe? Io penso che chiunque sarà chiamato a governarla, dovrà mettere mano alla macchina amministrativa, semplificare le procedure, creare una centrale unica di committenza, rendere effettivi i controlli e farli anche in corso d’esecuzione delle opere. Servono meccanismi che tengano insieme i due concetti ai quali facevo cenno all’inizio: la legalità e la responsabilità. Lei è fiducioso? Ritiene che si possa davvero debellare la malapianta della corruzione dalla Città eterna? Sì, ho perfino litigato col mio editore, che al sottotitolo del libro 'Si può liberare Roma da mafie e corruzione?', ha voluto mettere il punto interrogativo. Io avrei messo il punto esclamativo, perché è una sfida che si può vincere. Anzi, che si deve vincere. Vincenzo R. Spagnolo © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: