mercoledì 11 settembre 2019
Superticket, assunzioni, vaccini. Ma anche la mancanza di medici italiani (dovuta anche alle scelte dell'Università) che obbliga ad assumere stranieri: più 40% per cento già quest'anno
(Archivio Ansa)

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La parola chiave – e suona strano, in un Paese che per l’universalità e gratuità del sistema sanitario nazionale è stato modello per decenni nel mondo – è “sanità pubblica”. Il neoministro della Salute, Roberto Speranza, ne ha fatto la bussola dei suoi primi discorsi: «Il mio programma è la Costituzione. Articolo 32, "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti"».

E ancora: «La qualità della sanità indica il livello di civiltà di una nazione. Dobbiamo garantire il diritto alla salute, indipendentemente dalla Regione in cui si vive e dalle condizioni economiche. Difenderò con tutte le energie l’universalità del sistema sanitario» ha aggiunto il ministro, ricordando che la grande sfida è l’accesso di tutti a cure di qualità, «in un tempo in cui la popolazione invecchia e le innovazioni tecnologie e farmaceutiche sono sempre più avanzate».

Questo significa superare il primo, grande scoglio che qualsiasi ministro – non solo uno “politico” come Speranza, digiuno a differenza della sua predecessora Giulia Grillo di un’esperienza sul campo nella sanità – si trova oggi innanzi, in Italia: la drammatica carenza di medici e infermieri. Se n’è parlato senza sosta, negli ultimi mesi, in particolare sulle pagine di questo giornale. Quando, di volta in volta, di allarme in allarme, si sono registrati i concorsi andati deserti o quasi nei grandi ospedali da Nord a Sud, i reparti svuotati e costretti a chiudere, a ridimensionare visite e interventi oppure a correre ai ripari, ottenendo in alcuni casi le fughe in avanti non sempre ortodosse delle Regioni: si ricorderà la chiamata in corsia del Molise ai medici dell’esercito, quella del Veneto ai pensionati prima e agli specializzandi dell’ultimo anno poi, quella della Toscana ai neolaureati.

Senza contare il boom generalizzato di assunzioni di medici stranieri, con un’impennata del 40% nei primi mesi del 2019: un dato che va a braccetto con la drammatica fuga di cervelli italiani all’estero, o meglio, con la crescente richiesta di medici italiani nei Paesi dell’Unione Europea, dove la professione è meglio retribuita (oltre che sostenuta da investimenti in formazione e ricerca).

In numeri – e i numeri sono quelli che dovranno essere presi subito in mano dal neoministro – dicono che entro il 2026 saranno circa 100mila i medici di cui avrà bisogno il nostro Paese (tanto per fare qualche esempio: al Lazio ne serviranno 15mila, a Veneto e Piemonte 10mila, alla Lombardia 9mila, all’Emilia Romagna 8mila e via dicendo), a cui si aggiungeranno 60mila infermieri e 30mila fisioterapisti.

Una voragine di risorse umane che potrebbe determinare – in parte lo sta già facendo – una riduzione drastica dell’accesso alle cure, nonostante il buon tentativo (e il primo da ministra) fatto proprio dalla Grillo di ripensare il sistema delle liste d’attesa, irregimentando tempi e modi di erogazione delle prestazioni. D’altronde c’è una ragione se – ricchi o poveri, settentrionali o del Sud – quasi 20 milioni di italiani sono costretti a mettere mano al portafoglio per le prestazioni sanitarie che non riescono più ad ottenere dal servizio pubblico (dati dell’ultimo rapporto Rbm-Censis). Segno che i tanto dibattuti Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono di fatto negati a un italiano su tre.

La strada del cambiamento è ora più che mai in salita però, e proprio a partire da un dato politico: i 3,5 miliardi di incremento del Fondo sanitario nazionale per il 2020 e 2021 previsti dall’ultima legge di bilancio si tradurranno in fatti solo dopo la firma del Patto per la Salute, vincolato al via libera delle Regioni che per la maggioranza sono guidate dal centrodestra. Difficile pensare che la battaglia al neonato governo non sarà giocata dall’opposizione anche su questo campo.

Così come tutto politico si prospetta il confronto (se ci sarà, quando ci sarà) sulla riforma dell’obbligo vaccinale, che i 5 Stelle desiderano fortemente e il Pd, stavolta, invece respinge. Tutta da giocare poi, stavolta sul piano economico, sarà anche l’annunciata, prima partita di Speranza contro il superticket, cioè il contributo fisso di dieci euro a ricetta su visite ed esami ambulatoriali che fu deciso dal governo Prodi nel 2007 (ma introdotto solo nel 2011). «Lo aboliremo» ha promesso il neoministro, anche se tra i settori delle politiche pubbliche che saranno destinatari di un incremento della dotazione di risorse nella prossima legge di Bilancio 2020 non viene fatto esplicito riferimento alla sanità.

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