mercoledì 1 novembre 2017
Il sisma il 31 ottobre 2002 sbriciolò solo un edificio: la scuola Jovine. Sotto le macerie morirono 27 bambini e una maestra. Per il disastro vennero condannati anche l'ex sindaco e i costruttori
La commemorazione a San Giuliano di Puglia (Ansa)

La commemorazione a San Giuliano di Puglia (Ansa)

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Sorrisi di dolore. Occhi gonfi. Sole e freddo. Il cimitero. La campana che rintocca fin dentro lo stomaco. Le mamme, i papà. Le urla di allora che tornano in testa, la speranza e la disperazione, i bimbi tirati fuori vivi. E morti. Furono uccisi in 27, alla fine, e una loro maestra. Quindici anni fa. Che sembrano 15 giorni. Che oggi, ora, qui, si confondono.

A San Giuliano di Puglia, paesino molisano in provincia di Campobasso, spesso freddo, sempre ventoso. Il 31 ottobre 2002 alle 11 e 32 il terremoto colpì 44 comuni fra Molise e Puglia. Si sbriciolò un solo edificio, la scuola 'Francesco Jovine'. Costruita «come neppure un canile andrebbe costruito», venne accertato dall’inchiesta. Ci sono molti gonfaloni e molte fasce tricolori sul petto, molte autorità provinciali e regionali, c’è il governatore Paolo Di Laura Frattura. C’è Angelo Borrelli, capo del Dipartimento di Protezione civile. Ci sono molti bambini di scuole molisane.

C’è Guido Bertolaso da una parte, per conto suo, non può dimenticare, guidava lui la Protezione civile, arrivò nel primo pomeriggio. Quindici anni. Molti. O quasi nulla. Le tombe dei piccoli sono cariche di fiori e giocattoli e non hanno mai smesso di esserlo lungo questo tempo. Le madri e i padri arrivano presto, siedono o restano in piedi davanti ai loro figli che non ci sono più. Che quella mattina salutarono e non avrebbero più rivisto. Arrivano presto i fratelli e le sorelle, che sono diventati grandi, qualcuna mano nella mano col fidanzato, qualcuno che prima dei rintocchi della campana non ce la fa ed esce dal cimitero. Le nonne, poi, i nonni, hanno gli occhi bagnati, il cuore lacerato sui volti. «Per noi, sinceramente, questo giorno è solo dolore», dice il sindaco di San Giuliano, Luigi Barbieri. Lo Stato c’è e c’è stato, il paese, materiale, è rinato. Ma per chi ha perso i bambini è molto più difficile».

Scuote la testa Borrelli: è una giornata «triste» – spiega – perché «queste ferite non si rimarginano». Certo è che la tragedia di San Giuliano «ci ha insegnato che non si può morire così». Qualcuno non c’è, non viene mai ed è facile comprenderlo. Come tanti ragazzi che quindici anni fa tirarono fuori dalle macerie. E non è paura. Alcuni portano sul corpo i segni di quella scuola sbriciolatasi e li porteranno per sempre. Restano a casa. Non vogliono chiasso, cerimonie, commemorazioni. Restano a casa. A ricordare ancora una volta ogni istante delle ore passate al buio, schiacciati, credendo di morire, a ricordare i loro compagni con i quali non avrebbero più giocato. Quelli rimasti bambini per sempre, che sorridono nelle foto sulle lapidi. Nel cimitero c’è tanta gente. Ci siamo. È ora, è l’ora.

Silenzio pesantissimo, neppure più singhiozzi. Cominciano i rintocchi della grande campana che suona una volta l’anno, solo questa mattina. Uno per ogni bimbo morto, per la maestra, per le altre due donne che se ne andarono quella mattina. Arrivano tutti fin dentro lo stomaco. Durissimi. Non è servita a molto questa strage, non è cambiato molto nelle scuole italiane, più della metà non ha i requisiti necessari e previsti dalla legge per la sicurezza di chi vi entra ogni giorno. Non sono servite a molto nemmeno le condanne, passate in giudicato sette anni e mezzo fa, dell’ex sindaco e dei costruttori. Il sole è forte, splende su quanto resta della 'Jovine', che è diventato un monumento perché chiunque ricordi. Morena aveva sei anni, era felice d’andare a scuola. Come Luca e Gianmaria, gemelli, come Antonella, Paolo e tutti i bimbi che vennero uccisi da una scuola. E sorridono in quelle foto. Per sempre.

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