giovedì 8 aprile 2010
Molto clamore mediatico in Puglia attorno al «primo» caso non più solo sperimentale di pillola abortiva. Con la paziente che, presa la pillola, ieri sera è tornata a casa. Ma le Regioni si stanno convincendo che solo la permanenza in ospedale fino al completamento dell’aborto assicura il rispetto della 194.
Neanche la disinformazione può «sfrenare» la Ru486 di Alberto Gambino
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Regole. È questa la parola chiave nell’"affaire Ru486". Perché di regole c’è bisogno, per impiegare ogni farmaco nel nostro Paese, a maggior ragione un prodotto abortivo, che può mettere a rischio la salute delle donne. E perché queste regole, va da sé, devono essere il più possibile condivise. In quest’ottica proprio ieri si è insediata la Commissione ministeriale che valuterà le tipologie di utilizzo della pillola abortiva e definirà le modalità per la raccolta dei dati utili al monitoraggio del suo impiego. Un protocollo fondamentale, visto che a oggi scatole e scatole di pillole Ru486 viaggiano verso gli ospedali di mezza Italia (e in alcuni casi le pillole stanno per essere somministrate alle pazienti) senza che tutte le Regioni abbiano emanato normative precise in merito alla sua assunzione. Con l’incognita delle possibili complicazioni (anche amministrative) che il ricovero in day hospital o la firma delle dimissioni volontarie potrebbero portare con sé.E’ il caso della Puglia, che tanto ha fatto parlare di sé negli ultimi giorni per essere stata la capofila nell’adozione dell’aborto chimico. Qui ieri è stata data ufficialmente la notizia della prima assunzione italiana del farmaco, con tanto di particolari minuziosi circa lo stato di salute della paziente "pilota", riferiti minuto per minuto (ma la pillola abortiva è stata usata sin dal 2005 a titolo sperimentale in vari ospedali della Penisola). E qui – nonostante la Regione ancora non abbia deciso le modalità dell’impiego del farmaco, e abbia rimandato addirittura alla settimana prossima l’eventuale documento d’indirizzo per gli ospedali – proprio ieri sera la paziente in questione ha firmato le dimissioni volontarie ed è uscita dal Policlinico di Bari. Tutto il contrario di quanto raccomandato dal Consiglio Superiore di Sanità e di quanto assicurato dallo stesso direttore generale della struttura, Vitangelo Dattoli, non più tardi di qualche ora prima: «Anche se lascia alcuni margini di discrezionalità alle Regioni – aveva assicurato – l’Aifa indica questa quale modalità principe per i pazienti sottoposti a trattamento Ru486».Sul day hospital – e contro quanto disposto dal Css – sembra d’altronde essere rimasta ferma l’Emilia Romagna. Anche qui la pillola era sperimentata già dal 2007, seguendo un profilo di assistenza trasmesso dalla Regione alle Asl che dovrebbe rimanere invariato: esso prevede due accessi in day hospital a distanza di due giorni per la somministrazione dei due farmaci e una visita ambulatoriale al quattordicesimo giorno. E forse andrebbe sottolineato che, proprio relativamente al 2007, su 562 aborti con Ru486 avvenuti in regime di day hospital, in ben 37 casi (quasi il 7%) alla procedura ha fatto seguito una revisione di cavità uterina causa mancato o incompleto aborto. Casi che forse avrebbero potuto essere meglio seguiti – o persino evitati – in regime di ricovero ordinario?Nella maggior parte delle altre Regioni la scelta fatta per la Ru486 è quella del regime di ricovero ordinario, fissato in un minimo di tre giorni necessario – come sostengono quasi tutte le giunte regionali e gli assessori alla Sanità – «affinché la donna sia tutelata il più possibile». È il caso del Veneto, della Toscana (l’altra regione dove la sperimentazione del farmaco era già iniziata), della Lombardia (dove proprio ieri sono stati definiti i protocolli attuativi regionali presso la Direzione generale Sanità, in un incontro con i rappresentanti della Società scientifica di Ostetricia e Ginecologia lombarda) del Veneto, della Sardegna, del Friuli (dove le autorità hanno anche sottolineato come l’obiezione sulla pillola «sarà riconosciuta e garantita»). Posizione chiarissima anche per la Liguria: ieri il tavolo che ha visto insieme i 12 direttori delle unità operative regionali di ginecologia (sia universitari sia ospedalieri) hanno optato per il ricovero ospedaliero «fino al termine dell’aborto». Decisione a cui il governatore Burlando ha aderito senza obiezioni: «Sono certo – ha dichiarato – che le soluzioni autonomamente indicate dai medici siano quelle più efficaci per la tutela della salute delle pazienti». Chiare indicazioni circa le normative che verranno emanate nei prossimi giorni hanno poi espresso i neogovernatori del Lazio, della Calabria, e del Piemonte (dove nella fase di sperimentazione la pillola è sempre stata usata in regime di day hospital).Ancora indecise, invece, le altre Regioni. Dove l’argomento non è stato in cima all’agenda degli impegni istituzionali (come in Abruzzo) o dove semplicemente si attendono – vista anche l’assenza di richieste – le linee guida del Ministero. «L’insediamento in tempi così brevi della Commissione ministeriale dimostra che non vogliamo perdere tempo in proposito», ha assicurato ieri d’altronde il ministro per la Salute, Ferruccio Fazio, ricordando comunque come il compito dell’organismo non sarà tanto quello di esprimersi sul ricovero ospedaliero («tema sul quale è già molto chiaro il parere del Consiglio superiore di sanità»), ma piuttosto su come dare la necessaria informazione alle pazienti. A partire dalla spiegazione dei modi e dei tempi dell’aborto, «che coincide con il distacco del prodotto del concepimento – ha chiarito Fazio – e quindi potenzialmente con l’assunzione della prima pillola». Da qui l’obbligatorietà del ricovero nel rispetto della legge 194.
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