venerdì 27 novembre 2009
«Regime di ricovero ordinario». È il passaggio che il ministro della Salute, Maurizio Sacconi, chiede all’Agenzia del farmaco di inserire ufficialmente per l’immissione in commercio della pillola abortiva. La stessa richiesta era presente nelle conclusioni dell’indagine parlamentare. Il presidente dell'Aifa Pecorelli: «Le modifiche in tempo brevissimo».
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    Riconsiderare l’autorizzazione all’immissione in commercio della pillola abortiva Ru486. Il ministro della Salute, Maurizio Sacconi, chiede di valutare la necessità di un tale passaggio all’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel parere richiesto dalle conclusioni della indagine conoscitiva approvate giovedì dalla commissione Sanità del Senato. La posizione del ministero è stato comunicato ieri in un lettera al presidente dell’agenzia, Sergio Pecorelli. Quest'ultimo, a sua volta, ha ribadito che il Consiglio di amministrazione dell'Aifa si riunirà entro brevissimo tempo, al massimo tra qualche giorno, in modo da rispondere alle richieste del ministro Sacconi. "Il ricovero ospedaliero era già previsto nella nostra delibera di autorizzazione della Ru486 - ha sottolineato Pecorelli - per cui non credo che ci sia molto da modificare. Piuttosto dovremo specificare, in modo che non ci possano essere equivoci".Il parere del governo. La pillola può essere utilizzata per uso abortivo solo se «l’intera procedura» farmacologica, «nelle sue diverse fasi», è effettuata «in regime di ricovero ordinario», mette in chiaro Sacconi. «Il regime di ricovero ordinario», peraltro, è richiesto anche dalle conclusioni dell’indagine parlamentare, per garantire «sia la compatibilità con la normativa vigente che i profili di sicurezza».Nello stesso senso, infatti, si è espresso il Consiglio superiore di Sanità (Css), che con un parere del 18 marzo del 2004, ha stabilito che «i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti alla interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero», tenuto conto della «non prevedibilità del momento in cui avviene l’aborto» e del «rispetto della legislazione vigente che prevede che l’aborto avvenga in ambito ospedaliero».Un pronunciamento ribadito dal Css il 20 dicembre 2005, evidenziando che «l’associazione di mifepristone e misoprostolo deve essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista» dalla 194 «e la donna deve essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto».E di fronte al preoccupante muro di gomma eretto dall’Aifa contro gli ultimi dati scientifici sui rischi della pillola abortiva, e contro i pronunciamenti degli esperti ascoltati dall’indagine parlamentare, il ministero ricorda che la commissione Sanità del Senato ha ritenuto che la procedura fin qui seguita dall’agenzia «non ha previsto la verifica della compatibilità con la normativa vigente», proponendo perciò di sospendere «tale procedura per chiedere ed acquisire il parere del ministro», e se, necessario, «riavviare la procedura dall’inizio».Sacconi, poi, sollecita da parte del personale sanitario, oltre alla corretta informazione, «una specifica sorveglianza» sul trattamento, «sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi del metodo, in particolare relativi alla eventuale richiesta di dimissioni anticipate della paziente». Necessario, inoltre, evidenzia il parere, «un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, sia al fine di ridurre al minimo le reazioni avverse (effetti collaterali, emorragie, infezioni ed eventi fatali) sia per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare» il rispetto della 194.Anche la delibera del Consiglio di amministrazione del’Aifa del 30 luglio, stabilì che «l’impiego del farmaco deve trovare applicazione nel rigoroso rispetto» della legge sull’interruzione della gravidanza, «a garanzia e tutela della salute della donna». In particolare deve essere garantito il ricovero in una delle strutture sanitarie» previste dalla legge «dal momento dell’assunzione del farmaco sino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento». Si prescriveva anche la sorveglianza medica «sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative e sui possibili rischi connessi, nonché l’attento monitoraggio onde ridurre al minimo le reazioni avverse» come «emorragie, infezioni ed eventi fatali».
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