martedì 10 maggio 2016
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Il premier chiede una tregua di cinque mesi alla minoranza Lite Boschi-Cuperlo sul no alla riforma «come CasaPound» ROMA La prima direzione Pd dell’era Renzi senza «cose su cui litigare» si trasforma in un difficile tentativo di tregua interna. «Nei prossimi cinque mesi vi chiedo una mobilitazione straordinaria per amministrative e referendum, il minuto dopo il voto sulle riforme possiamo iniziare con il congresso», è l’arma segreta che tira fuori il premier per rabbonire gli animi e cercare di affrontare il meno sfaldati possibili i prossimi impegni decisivi per il prosieguo della legislatura e del governo. Una mano tesa alla minoranza. Raccolta da Cuperlo e Speranza nonostante il duro battibecco tra l’ex presidente dei dem e il ministro Maria Elena Boschi. Da qui bisogna partire per capire il senso di una giornata che conserva margini di ambiguità e non detto. Gianni Cuperlo interviene alla direzione, accetta la «moratoria» renziana e però punzecchia Boschi: «Vorrei che smentisse quell’accostamento tra chi vota no alla riforma e CasaPound». Il ministro, senza scomporsi, risponde a tono: «C’è chi dice che votare sì significa stare con Verdini, io constato un dato di fatto, oggettivo». Poi finisce lì, con mezzi sorrisi e tentativi di svelenire. In realtà, è proprio questo il siparietto che fa intendere quanto la tregua chiesta e ottenuta da Renzi sia fragile, quanto entrambi i fronti restino pronti a riabbracciare le armi. Non ha gioco difficile, Renzi, a far passare la moratoria. Il suo cronoprogramma prevede che dal 20 maggio al 15 luglio si raccolgano le firme per il referendum - nonostante la consultazione sia stata già chiesta per via parlamentare -, e poi banchetti «anche in spiaggia e in montagna». Poi la corsa finale. E poi il chiarimento attraverso il congresso. Speranza dice sì, anche se si riserva di esprimere la sua posizione sul referendum costituzionale dopo le amministrative. Cuperlo anche è d’accordo. In fondo è tanto, di questi tempi, ottenere che nel partito non ci sia fuoco amico, innanzitutto sui candidati dem in città difficilissime come Roma, Milano, Napoli. «Ai nostri candidati sindaco – arringa Renzi – dico di andare tra la gente, col sorriso e parlando dei problemi. Hanno il Pd con loro. Noi non ci dobbiamo vergognare di portare su il nostro simbolo, è sufficiente che le nostre liste prendano l’1-2 per cento più dell’altra volta». Obiettivi minimi, prudenti, sperando che si ripeta il 'miracolo' delle Europee: «Stando ai sondaggi, M5S ogni volta deve vincere in 107 città. Invece loro hanno 17 comuni, e non è che ovunque danno fulgidi esempi...». L’attacco ai pentastellati è continuo, da parte di Renzi. «Il loro doppiopesismo sugli avvisi di garanzia è insopportabile, però noi restiamo garantisti genuini, anche su Nogarin a Livorno. Siamo l’unico partito che discute, non una dinastia come loro». L’accenno alla 'questione morale' nel partito (di cui il premier ha ammesso l’esistenza in tv) c’è. Lo porta nel dibattito soprattutto Cuperlo che chiede di non mettere «bende sugli occhi». Renzi non ci si sofferma molto, chiede «sentenze» ai giudici e ricorda «la comunità di 50mila amministratori» del Pd. Ma la testa è al referendum. Ai 56 costituzionalisti per il no, alcuni dei quali, dice il premier, «sembrano archeologi» che temono cose che non ci sono, come i maggiori poteri al capo del governo. A chi dice che lui non è legittimato a fare le riforme perché non eletto replica che il premier votato dai cittadini «non sta nella Costituzione, forse nel codice di Hammurabi». E giù l’elenco dei tentativi falliti di riformare la Carta. Ma il vero specchietto per le allodole è il congresso anticipato (era previsto a dicembre 2017, potrebbe tenersi entro la prossima primavera). Tra l’altro il premier non pone l’assise anticipata in antitesi al proposito di far arrivare la legislatura sino al 2018: «Il congresso lo faremo come vogliamo. In tre mesi, in sei, in un anno. Per tesi o per singole questioni. Io ci sarò. L’arma la scegliamo insieme, ma la più importante è la franchezza ». Altre promesse: la segreteria sarà ristrutturata; «i comitati per il sì non sono l’ossatura di niente, il futuro é il Pd». Insomma non c’è il Partito della nazione all’orizzonte. Quanto all’accusa di aver trasformato il referendum in un plebiscito su di lui, Renzi prosegue nel tentativo di ridurre la portata della questione: «È solo buon senso, se siamo qui è per queste riforme. Se perdo ne prendo atto». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, all’arrivo in auto alla direzione del Partito democratico
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