giovedì 19 giugno 2014
​Al Consiglio Ue un documento per la svolta. Il premier a Van Rompuy: nessun diktat sui nomi, prima impegni nero su bianco.
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Un Renzi in versione Lotito avanza la condizione per dire «sì» a Claude Juncker come presidente della Commissione Ue. «Pagare moneta vedere cammello», è il senso del messaggio lasciato dal premier italiano ad Herman Van Rompuy, il gran mediatore - ieri ospite a Palazzo Chigi - che sta cercando di radunare intorno all’ex premier lussemburghese Ppe e Pse. E la moneta che Renzi vuole incassare è un documento politico pro-crescita che dovrà essere firmato dai 28 Stati membri durante il Consiglio Ue della settimana prossima. «Dopo, come presidente possiamo metterci chi vogliamo...», si ragiona a Palazzo Chigi. Se invece il documento si arenasse, allora l’Italia potrebbe fare fronte con Cameron e Hollande per affossare Juncker.  La giornata è stata agitata dall’avvio della procedura d’infrazione verso l’Italia per i ritardi nei pagamenti della Pa: «È l’ultimo sgambetto di Tajani», mastica amaro il premier. Ma la decisione del commissario Ue all’Industria non turba il colloquio con Van Rompuy. «Oggi non dò nessun via libera e non pongo nessun diktat, la mia posizione non cambia, prima di passare alle nomine dobbiamo dimostrare che la musica in Europa è cambiata», ribadisce Renzi. E cambia anche, aggiunge il premier italiano, se la Commissione Ue sarà composta per metà da donne, come il governo di Roma. Una posizione che fa pensare alla candidatura di Mogherini per guidare la politica estera comunitaria. Un’altra decisione assunta dai due è quella di rinviare alla fine del semestre italiano il vertice sul lavoro previsto per l’11 luglio a Torino. Da un lato c’è preoccupazione per le minacce dei movimenti antagonisti, dall’altro Roma teme un fallimento del summit alla luce del fatto che le istituzioni comunitarie, a luglio, saranno incomplete. Posto a dicembre, invece, avrebbe il senso di una «eredità concreta».Nel documento che Renzi vuole far sottoscrivere il 26 giugno, e che Van Rompuy sta limando, c’è lo sfruttamento delle clausole di flessibilità (scorporo degli investimenti produttivi dalle regole di bilancio) già previste nel 'Patto di stabilità e crescita'. E un accenno esplicito alle deroghe sugli obiettivi di deficit di cui può godere chi fa le riforme strutturali. Non solo, il premier chiede anche un piano europeo per la digitalizzazione, che da solo, spiegano a Palazzo Chigi, varrebbe quanto il Pil dell’ultimo Stato membro.  Da Berlino arrivano risposte dalle sfumature ancora poco chiare. «Non c’è bisogno di cambiare il Patto di stabilità, su questo nel nostro governo la pensiamo allo stesso modo», dice la cancelliera tedesca Angela Merkel. Parole che sembrano smentire quelle pronunciate dal suo vice, il socialista Gabriel. In realtà, Renzi e Merkel dicono quasi la stessa cosa ma cambiando le sfumature a beneficio delle proprie opinioni pubbliche. I margini di flessibilità, per entrambi, stanno già negli accordi sottoscritti: il punto politico è decidere quanto utilizzarli.  Insieme a Van Rompuy, l’altro grande mediatore nella partita delle nomine è il socialista Martin Schulz. All’Ansa, l’ex presidente del Parlamento Ue dice che è «assoluto interesse» della Germania che si rilanci la crescita di «due Paesi del G7 come Italia e Francia». Una sorta di trattamento 'su misura' da concretizzare nelle indicazioni semestrali ai singoli Stati membri pur senza cambiare i Trattati. I contatti tra le cancellerie proseguono frenetici. Ieri Cameron ha sentito Renzi, e ha avuto dal premier italiano la conferma che la sua posizione anti- Juncker sta diventando isolata. Mentre il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi è volato a Parigi per mettere a punto con Valls la strategia italo-francese sul documento pro-crescita. Sul fronte dei nomi italiani in ballo, a fianco a Paolo De Castro papabile per l’Agricoltura, è ieri filtrata una forte richiesta italiana per Energia o Commercio internazionale. Tra i nomi in ballo, spunta anche Piero Fassino.
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