domenica 21 giugno 2020
Il presidente Abi: fare di tutto contro la recessione. «Preoccupano i crediti deteriorati. Ridurre l'aliquota per favorire azionisti di lungo periodo. Definire grandi investimenti con fondi Ue»
Antonio Patuelli, presidente dell'Abi

Antonio Patuelli, presidente dell'Abi

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Per le banche italiane questa primavera è uno stress-test continuo. Che però non ha mutato l’indole di Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, reduce pure lui dal lockdown («Non ero mai stato così a lungo nella mia Ravenna da quando ero liceale», ammette). Ora che ha ripreso a girare per l’Italia, il capo dei banchieri evita di rispondere alle critiche sui ritardi negli aiuti («Ho fatto un fioretto…»), evidenzia timori forti per la stasi prolungata del turismo e offre due indicazioni sulle chiavi per la ripresa: agire sulla leva fiscale – rivedendo l’aliquota del 26% - per convogliare il risparmio dei “cassettisti” italiani verso le attività produttive e «definire con certezza e rapidità grandi investimenti » sui quali convogliare i fondi Ue che arriveranno. Ma, soprattutto, ci tiene ad indicare un proposito all’orizzonte: «Il Paese non deve rassegnarsi di fronte alle previsioni di una recessione tremenda. Non sarà per forza così: i fatti economici sono determinati dalla volontà e responsabilità di tutti gli attori. Non mi rassegno all’idea ineluttabile e inevitabile che l’autunno sarà segnato da una crisi profonda. Gli italiani sono fantasiosi e pieni di risorse nei momenti di difficoltà. Lo spirito negativo non deve prevalere ».

Le banche come sono uscite dal lockdown?

Innanzitutto non ci sono mai entrate. Gli sportelli sono rimasti sempre aperti. Anzi, si è lavorato di più per dar corso a una quantità eccezionale di pratiche legate all’emergenza, per di più svolte “in modalità remota”: oltre 2,6 milioni di richieste di moratoria sui prestiti, per 277 miliardi d’importo, e 669mila domande di finanziamenti garantiti poi trasmesse al Fondo di garanzia. Si viaggia a un ritmo di quasi un miliardo d’importi al giorno.

Numeri forti, in effetti.

Il mondo bancario registra un incremento dei prestiti anche nei mesi del lockdown, siamo a +1,4% su base annua. Mi sbilancio: è un aumento che proseguirà nei prossimi mesi. L’azione delle banche in questa fase è proattiva e anticiclica, come le misure urgenti adottate dall’Italia per con- tenere il disagio sociale. Ora dobbiamo far seguire però una strategia più ambiziosa, col potenziamento degli strumenti europei.

Restiamo sui prestiti garantiti dallo Stato al 100%. Il Parlamento ha aumentato l’importo, da 25 a 30mila euro, e i tempi del rimborso, da 6 a 10 anni. Servirà una nuova domanda?

Le modifiche sono applicate alle nuove domande a partire dal 19 giugno. Per quelle precedenti, l’Abi ha già diramato mercoledì 17 una circolare che disciplina i vari casi. Prevedo l’arrivo di una nuova valanga di richieste, la spinta verrà soprattutto dall’allungamento a 10 anni dei rimborsi. Gli istituti sono pronti ad applicare con diligenza le norme emendate, adeguando i sistemi informatici. E ad accelerarne l’applicazione in un clima di fiducia.

Con l’Inps, le banche sono finite nell’occhio del ciclone sugli aiuti, fra tempistica e burocrazia. Una più puntuale definizione sin dall’inizio da parte della politica avrebbe aiutato?

Ho fatto un fioretto: in fase emergenziale non faccio polemiche. Né rispondo alle polemiche: ho già detto che sono come un cireneo, che va avanti e porta la croce. È chiaro che più cose si definiscono dall’inizio più il processo è agevolato. Inoltre, l’autocertificazione ora introdotta dal Parlamento ci semplifica parecchio la vita, le banche devono effettuare un controllo formale degli atti. Preferiamo rispondere però con i fatti, provati dai numeri. Poi ci sono accanto altri numeri, che non appaiono e che raccontano un utilizzo molto più diffuso dello scoperto, del conto corrente con fido che è lo strumento più semplice e meno costoso per i clienti.

Il governatore Visco ha segnalato un possibile aumento dei crediti deteriorati in futuro. Vi preoccupa?

Ci preoccupa molto. Anche qui, però, il mio stato d’animo non è quello del timore, bensì dell’impegno a prevenire tali eventi. Non sto a braccia conserte in attesa della piena, la spinta del mondo delle imprese a superare questa fase resta forte e vi confido molto.

C’è un timore specifico per le piccole banche?

Siamo usciti traumatizzati dall’aver avuto 12 crisi bancarie negli ultimi 6 anni. Occorre fare ogni sforzo di prevenzione per evitare nuovi fenomeni nelle banche che sono pur sempre delle imprese come le altre, e non esiste un dogma d’infallibilità delle imprese. Confidiamo, però, che i provvedimenti presi dalle istituzioni migliorino il quadro d’insieme. In questo, può aiutare una maggior attenzione all’azionariato popolare, i cosiddetti “cassettisti”.

Cosa ne pensa della proposta del presidente della Consob, Savona, di una garanzia statale anche per l’investimento in azioni dei risparmiatori?

Colgo in positivo ogni sollecitazione a sostegno di investimenti privati in attività produttive. Finora lo Stato ha incentivato il risparmio verso i titoli pubblici, con l’aliquota ridotta al 12,5%. Non ritengo logico, però, che i grandi speculatori internazionali abbiano lo stesso trattamento dei piccoli risparmiatori. Dopo la pandemia, inoltre, c’è bisogno di supportare con capitale di rischio le tante imprese valide, ma temporaneamente in sofferenza. Occorre studiare allora meccanismi nuovi di natura fiscale, anche rivedendo l’aliquota oggi al 26%, anche modulandola in base alla durata dell’investimento, un po’ come avviene per le polizze assicurative che hanno vincoli temporali. Occorre farlo per attirare una liquidità che c’è: i depositi bancari sono a 1.600 miliardi, da gennaio sono saliti di 78 miliardi. Stando più in casa, la gente non spende.

Cosa la preoccupa di più?

Mi preoccupa molto il turismo nelle grandi città d’arte, meno quello balneare e in montagna. A Roma mi ha colpito vedere il centro storico ancora “spento”, semi-vuoto. Questo ha effetti su tante, troppe attività. Per il resto, i dati dell’export sono discreti, gli incentivi all’edilizia sono attesi con interesse e dovrebbero rimettere in moto le costruzioni.

Cosa ne pensa degli Stati generali del governo Conte?

Non do giudizi politici. Mi pare, tuttavia, un’iniziativa importante specie se non sarà episodica. Spero che sia propedeutica a trovare un meccanismo di confronto sistematico che, pur non ripetendo prassi antiche, possa creare un dialogo serrato fra portatori d’interessi particolari e le istituzioni chiamate a tutelare l’interesse generale. L’operazione da fare è capire con certezza quali grandi investimenti dobbiamo fare per avere i quattrini dell’Europa. Con un ritorno in termini di posti di lavoro, ma anche di modernizzazione, efficientamento e salto di qualità del Paese.

Fondi che, dopo l’ultimo Consiglio Ue, non sono così certi.

Anche qui sono confidente. Non voglio fare il profeta, ma che in Europa stava maturando una linea nuova, a partire dalla Germania, l’avevo annusato già a inizio aprile, in un’altra intervista. E lo stesso sta avvenendo con la nuova vigilanza della Bce, affidata ad Andrea Enria. L’Unione Europea è come un condominio, ha le sue regole.

Nei condomini si litiga, però.

È norma che i condomini sono portatori d’interessi fra loro diversi, tuttavia non si arriva mai alla paralisi. Un dettaglio che si sottovaluta è che nell’Ue le trattative avvengono su pluridesk. Decisiva mi pare anche la chiave della Pac, la politica agricola: nel nuovo quadro pluriennale 2021/27 sarà senza la Gran Bretagna. I Paesi cosiddetti 'frugali' e quelli di Visegrad hanno altri interessi, temporalmente connessi però. Insomma, la penso come Jean Monnet: «L’Europa si farà attraverso le crisi». Si sta costruendo così, l’Europa è un gerundio.

Non preoccupano i tempi?

Il problema dei tempi non lo vedo così emergenziale. Tanto più che prima dobbiamo definire noi i progetti da realizzare. È questa la priorità, qui ci giochiamo il nostro futuro.

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