giovedì 14 ottobre 2021
Impoveriti, sfruttati, esposti al contagio e meno tutelati dai provvedimenti pubblici. Bassetti: no a dinamiche che ci rendono estrani gli uni agli altri. Alla presentazione Redaelli, Perego e Sileri
Profughi arrivati in Italia con un corridoio umanitario organizzato dalla Conferenza episcopale italiana e dalla Caritas

Profughi arrivati in Italia con un corridoio umanitario organizzato dalla Conferenza episcopale italiana e dalla Caritas - Archivio Ansa

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La pandemia sociale ha travolto molti stranieri in Italia. Il Covid ha impoverito i migranti regolari più degli italiani. Sono stati più sfruttati ed esposti al contagio sul lavoro e meno aiutati dallo Stato. Lo denuncia l’edizione trentennale del Rapporto Immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes presentata a Roma oggi 14 ottobre che scatta una fotografia dettagliata della condizione dei lavoratori e delle loro famiglie nell’ Italia della pandemia.

Che in un quadro globale di mobilità regolare ridotta continuano a diminuire. Nel 2021 la popolazione di origine straniera è infatti calata del 5%, passando dai 5.306.548 del 2020 agli attuali 5.035.643 con una incidenza dell’8,5% sulla popolazione nazionale. Punte superiori alla media si registrano in province come Prato (19%), Milano, Piacenza e Modena (tutte intorno al 14%).

Sono 3.696.697 i permessi di soggiorno, con una netta crescita dei motivi di famiglia ( il 49%, +9,1% rispetto al 2019), seguiti da quelli per lavoro (43,4% e +12,1% dal 2019). Tutti segnali di integrazione. Quindi rifugiati e richiedenti asilo (5%). Anche i permessi di soggiorno destinati a minori non accompagnati e a neomaggiorenni sono in picchiata per il calo degli arrivi, dai quasi 18 mila del 2019 ai 3.774 del 2020.

La geografia resta immutata. Vivono sempre nelle aree più ricche, al Nord (58,5%) - in particolare nel Nord Ovest (34%) mentre Nord Est e Centro assorbono circa il 24,5 - e nel Sud e nelle Isole risiedono appena il 12,1% e il 4,8%. Le prime 5 regioni nelle quali si attesta la maggior presenza di stranieri sono Lombardia (nella quale risiede il 23% della popolazione straniera in Italia) seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. Tra le province prevale Roma, in cui risiede un decimo degli stranieri in Italia, seguita da Milano (9,2%) e Torino (4,2%). La presenza femminile è sempre maggioritaria (51,9% del totale) e sfiora l’80% fra i soggiornanti provenienti da Ucraina, Georgia e da diversi Paesi dell’Est Europa impegnati soprattutto nel lavoro domestico.

Pesanti secondo lo studio le conseguenze sociali della pandemia. La condizione occupazionale dei lavoratori stranieri presenti in Italia ha subito un “forte contraccolpo” sia per la chiusura di molte attività sia per la prosecuzione di quelle essenziali da svolgere in presenza esponendoli allo sfruttamento lavorativo o all’infezione da Covid-19. Le forme contrattuali mediamente più precarie hanno determinato un tasso di disoccupazione del 13,1%, superiore a quello degli italiani (8,7%), mentre il tasso di occupazione (60,6%) si è ridotto e risulta inferiore a quello degli autoctoni (62,8%). Le più colpite dalla crisi sono le donne, impegnate in servizi alla persona turismo e ristorazione, con un tasso di disoccupazione due volte maggiore rispetto ai maschi.

La pandemia sociale si vede nell’aumento della povertà assoluta nelle famiglie di soli stranieri. Nel corso di un anno il numero di nuclei stranieri poveri è salito a 568 mila. Più della metà ha figli minori. Fino a due anni fa quasi un nucleo su quattro, secondo i parametri Istat, non arrivava a un livello di vita dignitoso, mentre oggi risulta povera in termini assoluti più di una famiglia su quattro (il 26,7%), a fronte di un’incidenza del 6% registrata tra le famiglie di soli italiani. Tra le persone aiutate dalla Caritas i cittadini stranieri rappresentano il 52%. Gli assistiti sono più giovani degli italiani, l’età media è 40 anni per gli uomini e 42 per le donne contro i 52 anni in media degli italiani. E hanno titoli di studio più elevati che nel loro caso non promettono aspettative di vita migliori Se la povertà degli immigrati nel 42% è dovuta alla disoccupazione, molto elevata è l’incidenza degli occupati (30,9% contro il 19,2% dei cittadini italiani) poveri nonostante lavorino o working poor. E’ la conseguenza di una occupazione precaria, sotto-retribuita e irregolare.

Altro aspetto poco visibile è la violenza e lo sfruttamento sulle donne migranti. “Le straniere – dice lo studio - rappresentano all’incirca la metà delle donne assistite nei centri antiviolenza ed un 55%-60% delle ospiti delle case rifugio. Le forme di violenza subìte sono principalmente fisiche, di grave entità, e si registrano sia nelle relazioni iniziate nel Paese d’origine (68,5%) sia nel contesto di relazioni avviate in Italia (19,4%). Il principale tipo di sfruttamento da esse subito è quello sessuale (77%). Nel 16% dei casi le donne sono state vittime di sfruttamento sia di tipo sessuale che lavorativo. L’1% è stata vittima di matrimonio forzato”.

Per quanto riguarda la prostituzione è sempre meno legata alla strada. Con la pandemia è aumentato, da parte dei trafficanti, l’utilizzo di dark web, di social, di app e di chat, con i quali le vittime, sempre più giovani, sono adescate.

Il rapporto Caritas-Migrantes denuncia l’inefficacia delle misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza, utilizzate solo dal 9-10% dei cittadini extracomunitari per la generale difficoltà di presentazione della domanda. Anche il “Reddito di cittadinanza” presenta limiti enormi legati alla copertura degli stranieri, dal momento che uno dei requisiti di accesso prevede la residenza in Italia di 10 anni, di cui gli ultimi due in via continuativa. Scrivono quindi gli autori: “Gli interventi messi in atto per fronteggiare la pandemia si sono caratterizzati per elevato livello di frammentazione, complessità amministrativa, deboli azioni di supporto all’accesso, che non hanno fatto altro che compromettere la capacità di raggiungimento della popolazione straniera, diventando un’ulteriore fonte di divaricazione con quella italiana.”

Per quanto riguarda la tutela della salute, il 13,9% delle denunce all’Inail di contagi sul luogo di lavoro riguarda stranieri, concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 21,0% dei contagiati stranieri), peruviani (13,0%), albanesi (8,1%), moldavi (4,5%) ed ecuadoriani (4,2%). Logistica e servizi domestici e badanti, insomma.

Anche nella programmazione delle vaccinazioni gli immigrati, in particolare quelli presenti nelle strutture d’accoglienza collettive, non sono stati previsti. La mancanza di tessera sanitaria ha escluso interi gruppi di popolazione (italiana e straniera) dalla possibilità di prenotarsi nei portali regionali anche quando per età sarebbe stato possibile. In assenza di indicazioni puntuali, le Regioni e le Province autonome si sono attivate non in modo omogeneo e coordinato e questo ha prodotto, ancora una volta, un ritardo “strutturale” a scapito della popolazione immigrata.

Infine a proposito delle fake news messe in giro a inizio pandemia sugli stranieri untori, il rapporto sottolinea come l’Italia può fare affidamento anche su 22 mila medici, 38 mila infermieri, 5 mila odontoiatri, 5 mila fisioterapisti, 5 mila farmacisti, 1.000 psicologi e 1.500 fra podologi, tecnici di radiologia, biologi, chimici e fisici di origine straniera in prima linea contro la pandemia. Fra gli oltre 350 medici morti in Italia durante la pandemia, almeno 18 erano stranieri. Molti di più i contagiati e i ricoverati in terapia intensiva. Non dimentichiamolo.

La presentazione del rapporto

Ciò che si è perso, e la pandemia lo ha mostrato in tutta la sua evidenza, è il senso del noi. Ecco perché avendo davanti anni difficili in cui bisogna «ricostruire le nostre comunità», l’augurio è che si riesca a «vivere la speranza, perché non c’è nulla di più concreto della speranza se ci si crede fino in fondo», incamminandosi su un percorso che arrivi ad «un noi sempre più grande che sgonfi questo benedetto io che ci paralizza tutti». Perché «non possiamo più permettere che si affermino dinamiche che ci rendano estranei gli uni agli altri». Un ragionamento, espresso dal presidente della Cei cardinale Gualtiero Bassetti nel corso della presentazione del XXX Rapporto Caritas-Migrantes sull’immigrazione, che vale anche quando si affronta il tema dei migranti. Il rapporto mostra per la prima volta un dato in calo degli stranieri in Italia. «Presto cominceremo ad accorgerci della mancanza di queste persone. E allora ci pentiremo di non averli accolti come dovevamo accoglierli, di non averli seguiti come avremmo dovuto, di essere stati troppo avari anche nel dire che questo territorio che è calpestato da noi e da loro alla fine può essere veramente la patria di tutti».

Anche perché va ricordato, e lo ha fatto il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri nel corso dell’incontro, «non sono i migranti che portano il virus, si ammalano sul territorio nazionale». L’immigrazione infatti è «un risorsa» e un’opportunità – così come i medici stranieri presenti in Italia, aggiunge ­- quando è «aiutata, controllata». Sul fronte sanitario, inoltre, ed in particolar modo sulla vaccinazione anti-Covid Sileri sostiene che il ministero «ha sollecitato le Regioni. Il Green pass a me interessa ma mi interessa ancor prima la vaccinazione e quindi la salute delle persone, comprese quelle che non sai chi sono e dove sono. Vorrei fare un censimento di queste persone per sapere dove allocare le risorse, per consentire il miglioramento delle loro condizioni di salute».

Tira un bilancio usando due parole chiave, razionalità e dramma, il presidente della Fondazione Migrantes monsignor Gian Carlo Perego, sostenendo che «la pandemia è stato un dramma che ha indebolito il riconoscimento dell’immigrazione come opportunità e il drammatico calo di almeno 150mila persone straniere significa che l’Italia non ha più capacità attrattive e questo mi preoccupa. Ecco che così questo rapporto vuole essere una forte provocazione alla razionalità». L’immigrazione infatti è una questione complessa e difficile, gli fa eco il presidente di Caritas Italiana monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, «ma si può governare con intelligenza e oltretutto nel rispetto della dignità umana. La missione della Chiesa non è solo ascoltare, ma mettersi al fianco e camminare insieme a queste persone».

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