venerdì 16 dicembre 2016
Tablet, smartphone, notebook: sono molti gli strumenti che finiscono nelle mani degli adolescenti che arrivano a condizionarne i comportamenti e gli stili di vita
Ragazzi e nuove tecnologie: una grande sfida educativa
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Ipad, smartphone, tablet. Saranno migliaia quelli regalati anche quest’anno a Natale, per buona parte destinati ad adolescenti e giovani. Persino bambini. Eppure accade che l’uso di queste tecnologie finisca sotto i riflettori della cronaca, il più delle volte nera: dalla diffusione di immagini lesive e offensive, a veri e propri episodi di bullismo tecnologico. «È il volto negativo delle nuove tecnologie – ammette Piercesare Rivoltella, docente di Didattica e tecnologie dell’istruzione e direttore del Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia (Cremit) –, ma il "male" sta soprattutto nella persona che utilizza questi strumenti». Inevitabile, allora, domandarsi se regalare a un ragazzo lo smartphone rappresenti più un rischio che un’opportunità. «Ogni strumento tecnologico ha un proprio programma d’uso, che ha in sè le potenzialità di essere usato bene o male – risponde il direttore di Cremit –, ma l’uso negativo si concretizza nelle pratiche personali che l’utente mette in atto». Dunque la volontà dell’individuo. Del resto il Centro di ricerca Cremit studia e lavora su come proprio la tecnologia sia di supporto all’apprendimento e alla didattica. Aiuto per studenti con disabilità e per professori che desiderino rendere più viva la propria materia di studio.

Da parte sua la scuola non può restare impermeabile all’uso delle tecnologie. E «lo potrà essere sempre meno – aggiunge Giuseppe Riva, docente di Psicologia della comunicazione – visto che sta per arrivare in classe la prima generazione di nativi digitali che sin dai primi anni di vita ha imparato a usare un tablet ancor prima di saper leggere e scrivere». Si tratta dei bambini nati dopo il 2010, quando l’introduzione del sistema touch (cioè il muovere sullo schermo gli elementi con il tocco delle dita) ha permesso loro un approccio precoce allo strumento. «Una volta c’era la televisione per "occupare" i bambini – ricorda Riva –, oggi molti genitori danno al bambino il tablet perchè ci giochi». Ma un approccio così precoce è pericoloso? «Ci sono pro e contro, e la necessità di regole – risponde il professore della Cattolica –. Da una parte, i bimbi imparano a organizzare le proprie conoscenze e ad apprendere con l’approccio motorio. Dall’altra, la velocità di cambiamento della schermata rende più difficile la gestione dell’attenzione. E qualche problema me lo aspetto anche nell’apprendimento del leggere e scrivere, che presuppongono un approccio simbolico e non immediato». Altro tema interessante è il rischio di perdere il senso dell’attesa e della scoperta, visto che «nei giochi su tablet la risposta è immediata e, nel suo genere, ripetitiva», togliendo il gusto della sorpresa e dell’esplorazione di novità.


Se per i bambini sotto i 6 anni l’uso delle tecnologie è legato al gioco, decisamente diverso è l’approccio per adolescenti e giovani. «Non si può nascondere che per i genitori lo smartphone al figlio rappresenti una sorta di "guinzaglio" elettronico – sottolinea Giovanna Mascheroni, ricercatrice del Centro di ricerca sui media e la comunicazione OssCom –: posso sempre raggiungerlo e sapere dove è, e dall’altra mi può chiamare in caso di pericolo». Ma la «percezione per gli adolescenti è differente: significa essere sempre connessi con il proprio gruppo, con i propri pari. Una connessione attiva spesso 24 ore su 24, magari con l’ansia di perdere qualche battuta del flusso di messaggi magari nel gruppo di WhatsApp». Il quadro, però, non è solo negativo. «Si inizia a comprendere che ci sono momenti nei quali il cellulare va spento, ad esempio, per non perdere la concentrazione nel fare i compiti» dice la professoressa Mascheroni, che chiama in causa i genitori, i primi a «dover mostrare un uso corretto di queste tecnologie. E a dover avere un dialogo con i propri figli per evitare fenomeni come il cyberbullismo», forme di aggressione ed esclusione legate all’uso delle tecnologie. In questi casi diventa decisivo il ruolo delle competenze sociali e culturali.
Competenze che master e corsi del Cremit, cercano di mettere in campo per i propri studenti, perchè, avverte il direttore Rivoltella, «non possiamo approcciare questi strumenti solo dal punto di vista tecnologico, ma anche da quello pedagogico, in un equilibrato mix». Del resto questi strumenti «hanno già cambiato la nostra vita: li usiamo dovunque, facciamo più cose insieme con un solo strumento, possiamo essere sempre connessi, anche se in forma virtuale, e scambiamo una mole di informazione e notizie, anche se per la gran parte non fondamentali». Insomma spazio, tempo, relazione e contenuti - punti nodali di un rapporto educativo - sono già cambiati. L’obiettivo è sempre di più «governare la tecnologia e non l’esserne governati».

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