venerdì 2 gennaio 2015
​Il presidente della Bce si sfila: completerò il mio mandato a Francoforte.
Serracchiani: per il Colle accordo con Fi
EDITORIALE Il dovere comune della ricostruzione di Gianfranco Marcelli
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"Non voglio essere un politico". Così il presidente della Bce, Mario Draghi, risponde in un'intervista al giornale tedesco Handelsblatt risponde a una domanda su un suo possibile impegno politico in Italia. "Il mio mandato di presidente Bce prosegue fino al 2019", ha sottolineato Draghi, in merito all'eventuale successione al presidente Giorgio Napolitano, escludendo categoricamente questa ipotesi. La partita per il Colle si è ufficialmente aperta con l'ultimo messaggio di fine anno del presidente Giorgio Napolitano si entra infatti nel vivo del grande nodo della successione. Una successione alla quale, presumibilmente, il Parlamento dovrà lavorare a partire dalla fine di gennaio ma che, di fatto, occuperà le forze politiche già nei prossimi giorni con Matteo Renzi nel ruolo di 'kingmaker'. I numeri ci sono, affermava Renzi il 29 dicembre scorso, mostrando un certo ottimismo sull'operazione più delicata del suo governo. Operazione ormai prossima: dal 13 gennaio in poi, ogni giorno potrebbe essere quello giusto per le dimissioni di Napolitano che, allo stesso tempo, continua a tenere aperta una finestra di alcuni giorni nella metà del mese, guardando anche alle conseguenze del suo atto sul lavoro parlamentare, in modo particolare la riforma della Legge elettorale. Dal giorno in cui Napolitano comunicherà le sue dimissioni, la presidente della Camera Laura Boldrini avrà 15 giorni per convocare l'elezione del successore. Convocazione, quindi, che potrebbe cadere nel primo lunedì di febbraio con il mese gennaio dedicato così integralmente alle riforme. Per il Colle Renzi non potrà contare solo sul suo partito, sebbene il Pd possa vantare circa 460 su 1008 Grandi elettori. Per arrivare alla maggioranza assoluta 505 - prevista dal quarto scrutinio - dovrà contare su almeno un alleato su una partita sulla quale il premier, così come per le riforme, può di fatto giocare su un doppio binario: quello della maggioranza di Governo, scegliendo un'opzione che trovi il sì dei centristi e quello del Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. Tocca comunque a Renzi e al Pd fare una proposta. Sull'identikit del successore di Napolitano finora il premier si è limitato a lanciare qualche piccolo indizio affermando, ad esempio, che il presidente della Repubblica ha "funzioni tipicamente politiche con la 'P' maiuscola" e riducendo, così, le chance di un tecnico. Resta, invece, il dubbio se affidare il Quirinale ad una figura forte e difficilmente influenzabile (come chiesto più volte, ad esempio, della minoranza Pd) o un personaggio non di primissimo piano, più idoneo, forse, a fare da sponda fedele a Palazzo Chigi. Nella prima ipotesi rientrano i nomi di Romano Prodi - su cui Berlusconi non ha ancora posto un veto definitivo - Giuliano Amato e Walter Veltroni. Nella seconda categoria tra i papabili figurano Anna Finocchiaro e i nomi di esponenti politici cattolici - che troverebbero il favore dei centristi - come l'ultimo segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti o del giudice costituzionale ed ex vicesegretario Dc Sergio Mattarella. Per la sua esperienza internazionale, non è certo fuori dai giochi il presidente dell'Anci Piero Fassino.  Tutte figure sulle quali potrebbe ruotare l'ormai probabile incontro tra Renzi e Silvio Berlusconi, che il 7 gennaio tornerà a Roma, resta ben allineato allo schema del Nazareno e, nel frattempo, lavora per serrare i ranghi di una Fi dove la fronda fittiana conta quasi su 40 parlamentari. E cresce, con l'approssimarsi delle dimissioni di Napolitano, anche la voglia di unire le forze da parte di Ncd e Fi, consapevoli che, al di là degli attriti, formare un fronte comune aumenterà di certo la loro possibilità di influenza. Con un obiettivo, sul quale Berlusconi non ha alcuna intenzione di cedere: non lasciare che Matteo Renzi si scelga il suo presidente della Repubblica senza pesi e contrappesi.
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