venerdì 2 gennaio 2015
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Non è stato solo un congedo sereno dal Quirinale, nel suo solito stile sobrio e tuttavia appassionato, quello pronunciato l’altra sera da Giorgio Napolitano. Di un addio si è trattato, certo. Espresso e giustificato apertamente con la piena consapevolezza dei limiti che il tempo trascorso e l’età avanzata impongono al suo operare. Ma il suo ultimo messaggio di San Silvestro è stato anche e soprattutto un appello a ciascuno di noi, a ogni cittadino di questo Paese, che sia o no impegnato in una qualsiasi formazione della società civile. Un appello, ci sembra, che va perfino aldilà di un pur nobile testamento morale, perché è stato espresso con il tono di chi non si prepara affatto a tirare i remi in barca, a rinchiudersi nella dorata solitudine di chi dice: io ho fatto la mia parte, adesso tocca voi, vediamo se riuscite a cavarvela.Invece no. Il presidente della Repubblica, sulla soglia dei 90 anni, ha parlato come chi si appresta a fare ancora la sua parte, a dare l’esempio possibile, a esortare e a "tifare" sia per chiunque avrà il compito di sostituirlo sul Colle più alto sia per quanti lo affiancheranno nel compito di portare l’Italia là dove Napolitano resta profondamente convinto che meriti di stare: ossia nel concerto delle nazioni più avanzate e responsabili, che cercano di coltivare la pace e il dialogo internazionale, di accrescere la collaborazione nella lotta alle piaghe più dolorose del mondo e nel superamento delle più terribili emergenze internazionali. A cominciare dalle nuove schiavitù denunciate da Papa Francesco e da lui richiamate con totale adesione, anche per scongiurare "l’insidia dell’indifferenza" che tanto incide anche sul clima di apatia e di rassegnazione in cui siamo avvolti. Proprio dall’invito ad allargare lo sguardo oltre i ristretti orizzonti dei nostri guai interni (non certo per ridimensionarli o peggio ancora per sottovalutarli, ma per dare ad essi il giusto inquadramento e per saperli affrontare al meglio), è partito il monito finale agli italiani, affinché recuperino quel "senso della Nazione" che l’ha spinta in passato a rinascere dalle devastazioni della guerra. Evocando il mirabile sforzo collettivo di quegli anni, neppure poi così lontani, che non ha mai annullato le differenze e le ispirazioni ideali di nessuno, ma ha potuto contare sulla collaborazione "dall’alto e dal basso", il Capo dello Stato uscente ha spronato ognuno di noi a mettercela tutta, "con passione, combattività e spirito di sacrificio".Adesso dunque si volta davvero pagina, ma non per consegnare banalmente agli archivi quasi un decennio che tanto ha inciso sulla vita politica e istituzionale. Anche di questo il Presidente si è voluto dimostrare ben conscio. In particolare, quando ha rivendicato il merito, con l’accettazione condizionata e a termine del secondo mandato, di aver molto contribuito a far partire una legislatura nata con scarsissime probabilità di sopravvivenza. E che ora appare incardinata sui binari da lui sempre auspicati: quelli di una profonda riforma del sistema-Paese, capace di ridargli slancio e di restituirgli credibilità internazionale. Purché si evitino deragliamenti e scorciatoie, come quelle "velleitarie e pericolose" di chi vorrebbe vederci fuori dall’euro e dalla stessa Ue. Per questo la prima e principale sfida che attende ora le forze politiche - l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale - sarà il banco di prova per garantire che anche le successive sfide possano essere affrontate con successo. Nel giro di pochissime settimane si capirà se l’estrema richiesta di far prevalere "maturità e responsabilità nell’interesse del Paese" sarà accolta, creando così le premesse per i cimenti successivi. Napolitano non dimentica che la principale preoccupazione degli italiani riguarda l’economia e la mancanza di lavoro, l’incertezza della ripresa e la contrazione del reddito. E non nasconde certo "le più gravi patologie" che affliggono il corpo sociale: in primis la mafia e la corruzione, specie quella affiorata in forma quasi sistemica con la recente inchiesta romana. Eppure torna più volte, contro la tentazione dello sgomento e della sfiducia generale nella politica, sulla nostra possibilità di farcela "tutti insieme", di ripulire il marciume, di ispirarci ai nostri connazionali "esemplari" non come compensazione contro gli "indegni", ma come fonte di ispirazione e di orgoglio, come garanzia che disponiamo del capitale umano per ripartire sul serio. Parole che, lo si è percepito, nascevano da una profonda convinzione interiore. La stessa che lo ha indotto a manifestare "infinita gratitudine" per quanto ha ricevuto in questi anni. E che gliene merita altrettanta da parte degli italiani: non pensiamo (e i nostri lettori lo sanno) che Giorgio Napolitano sia stato un presidente perfetto, ma è stato, ed è, un grande presidente.
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