giovedì 27 dicembre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
Una «nascita disagiata», quella di Gesù, «fuori dalla propria casa. E noi, che siamo stati toccati dalla terrificante esperienza del terremoto, possiamo comprendere meglio la Sua reale vicinanza». Parole che sanno di conforto, quelle pronunciate durante la Messa di Natale dal parroco di Mirandola don Carlo Truzzi, all’interno di un tendone che, dice, «ci ricorda più da vicino la grotta di Betlemme».Davanti al sacerdote, un popolo che per mesi ha avuto come letto il sedile dell’automobile, facendo i conti con lutti, imprese distrutte e i luoghi-simbolo delle comunità (Municipi, torri e campanili) che non ci sono e non ci saranno più. È lo stesso popolo che, a mezzanotte, canta la gioia e intona la «Ninna nanna a Gesù».I primi fedeli arrivano verso le 22. Qualcuno, rientrato da fuori a trovare i parenti, cerca conferme: «È davvero qui la messa?». I dipinti a tema religioso sono rimasti nelle chiese distrutte: l’immagine di un crocifisso è stampato su un telone enorme, appeso dietro l’altare. La parola «confessionale», sulle casette di legno, è scritta in grande: ai nuovi spazi, alla nuova chiesa, è difficile abituarsi.Nulla è facile, da sette mesi a questa parte: a Mirandola il Duomo ha ceduto, dell’antichissima chiesa di San Francesco è rimasta in piedi soltanto una pericolante facciata. Ricostruirla come prima, si dice in città, non avrebbe molto senso: meglio allora che le nuove mura siano trasparenti, perché – nessuno vuole nasconderlo, e comunque sarebbe impossibile – il sisma ha segnato la storia di questo territorio.Sulla seicentesca chiesa del Gesù – anch’essa inagibile – vengono proiettate rappresentazioni della Natività: se il presepe non si può allestire all’interno, almeno lo si tiene “incollato” con luci 3D ed effetti speciali sulla parete esterna. Immagini virtuali, ma la commozione è reale.Un altro presepe è allestito in piazza, delimitato dalle transenne che, a Mirandola come in altri centri dell’Emilia ferita, circondano case e ogni tipo di costruzione.È il Natale di una Chiesa che, qui, è rimasta senza chiese. O quasi: quella di Finale Emilia è stata ristrutturata appena in tempo; a Medolla, invece, la comunità si ritrova in una struttura in legno.Invece dei sagrati, i campi sportivi; al posto dei muri, i tendoni. Quando termina la celebrazione, tutti fuori: per brindare, certo, ma anche perché quando si spegne il riscaldamento, per via dell’umidità, «piove» al coperto.Anche il vescovo di Carpi Francesco Cavina celebra in una tensostruttura. Antonio Lanfranchi, pastore della diocesi di Modena-Nonantola, ricorda nel messaggio di auguri il passo di Isaia in cui si rende grazie al Signore per aver «consolato il suo popolo»: «Le rovine di Gerusalemme – afferma – sono per noi le case, le chiese, le fabbriche, i monumenti», ma anche «le speranze infrante, le ferite del cuore». Quelle si curano anche, e soprattutto, in famiglia.Il giorno della vigilia, sotto le luminarie che uniscono case inagibili ad altri edifici stravolti dal sisma, si ritrovano bambini e genitori, per un incontro con Babbo Natale e un pomeriggio di spensieratezza in centri che non smettono di evocare ricordi dolorosi.In mezzo alle piazze, il fuoco riscalda il pentolone del vin brulé. Chi accenna un «grazie, ma non reggo l’alcol», si sente rispondere: «È un bicchiere di auguri, non fa male».Dove la chiesa ha resistito alle scosse – come il Duomo di Modena – si attende la messa di mezzanotte ascoltando canti liturgici. Ma il concerto più toccante è quello tenuto, l’antivigilia, dal maestro Renato Negri nella chiesa di Rivara, frazione di San Felice sul Panaro. Lui, con l’elmetto in testa, davanti a quell’organo del 1865 non danneggiato dai crolli. Nella vicina tensostruttura, usata per le celebrazioni religiose, 300 spettatori seguono la diretta sul maxischermo. Mentre l’Hallelujah di Handel risuona tra le macerie.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: